VEGLIATE, VIGILATE …
Il Signore viene e verrà
Don Renzo Gamerro, 30.11.2014
IVREA – I testi biblici, assemblati nelle liturgie domenicali dell’Avvento, propongono uno sguardo all’indietro, all’evento di Betlemme di 2000 anni fa; uno sguardo all’oggi, tempo in cui il Signore viene; uno sguardo in avanti alla fine dei tempi, in cui il Signore verrà.
Il testo di Mc. 13, 33-37, fa parte del discorso escatologico. In esso risuona uno squillo di tromba rivolto alle sentinelle: “vegliate, vigilate…”per ben quattro volte. Nell’oggi la fatica del quotidiano, tra delusione e speranza, tende a oscurare la memoria del passato e quasi impedisce uno sguardo sul futuro. Siamo carenti di memoria e di progetto.
Vegliate, vigilate è un perentorio invito a tenere occhi aperti, mantenere un cuore adente, una prontezza nel decidere, nel fare, nel riprendere il cammino. Diceva e dice Shakespeare nell’Amleto: “la prontezza è tutto”.
Se, partendo dalla parola evangelica, fissiamo gli occhi sul nostro vivere oggi nella storia, ci accorgiamo che la nostra vita è un mistero che non possediamo.
E’ importante essere sempre pronti a discernere nello scorrere della nostra storia i segnali del nostro destino, quei “segni dei tempi” che custodiscono gocce di presenza del Cristo che viene, gocce cariche di attesa e di speranza, gocce di una promessa che non viene mai meno.
Di conseguenza tre verbi caratterizzano e debbono caratterizzare non solo questo tempo d’Avvento, ma tutto il nostro tempo: osservare, attendere, decidere. Ciascuno di noi possiede solo il tempo della sua vita, dalla nascita alla morte: è un tempo da apprezzare e amare, perché in esso è sempre presente una promessa di beni, di persone che con noi vivono e la presenza del Risorto con noi.
L’assunzione del presente come nostro tempo, si qualifica come tempo dell’incontro. In questo spazio vitale si costruisce la tela di incontri che sono la filigrana della nostra storia personale: l’incontro con la persona che si ama, con gli amici, con il vicinato; gli incontri nell’agorà pubblico, gli incontri con le vicende della storia personale e sociale; gli incontri con la Parola di Dio e le parole degli uomini.
Un mondo di presenze accolte o trascurate, un mondo ricchissimo di doni di vita. Gli incontri nutrono il nostro vivere, sono pane quotidiano e dissetano la nostra sete di senso.
Aprendo il giornale questa mattina, mi ha colpito un incontro che cambia una storia: il patriarca di Istanbul Bartolomeo I abbraccia e bacia la testa di Papa Francesco che, inchinato, ha chiesto al più alto rappresentante della Chiesa Ortodossa una benedizione per la Chiesa di Roma. Un incontro imprevisto e impensabile, che modifica i secolari rapporti tra le due chiese cristiane e fa progredire il loro cammino verso una riconciliazione possibile. Solo due profeti, capaci di discernere i segni dei tempi, potevano attivare quell’incontro. E ciascuno di noi è e deve essere profeta. Il profeta è il solo a saper accogliere lo squillo di tromba: vegliate, vigilate. Solo lui attiva un natale, una rinnovata nascita-presenza del Signore della vita e della storia in quell’area dell’umano fermentato dal Divino, che secondo l’ordine del Creatore deve “umanizzare” l’intero processo della creazione.
Ancora una riflessione attualissima di Elie Wiesel, scrittore ebreo sopravvissuto all’olocausto: “se saremo sinceri, umili e forti Egli viene e verrà, tutti i giorni, mille volte al giorno. Non avrà un solo volto, avrà mille volti. Il Messia non è un solo uomo, ma tutti gli uomini”.