VEDERE, COMPRENDERE, NARRARE: MEDIA E MINORI
Benedetta Grendene, 11.10.2016
ASSISI – L’alta scuola di formazione al giornalismo proposta dall’UCSI (Unione cattolica stampa italiana) e intitolata al vaticanista Giancarlo Zizola scomparso cinque anni fa, si è svolta quest’anno ad Assisi dal 7 al 9 ottobre, a partire dal tema: “Vedere, comprendere, narrare”.
Una delle riflessioni e delle sfide deontologiche forse più importanti per i giornalisti intervenuti da ogni parte d’Italia, si è sviluppata attorno al delicato rapporto tra l’utilizzo dei media e la tutela dei minori, nella babele di notizie che quotidianamente sono agli onori della cronaca. L’ecologia dei media e il corretto uso dell’informazione risultano cruciali nell’approccio con i minori: i media dovrebbero essere la nostra “casa”, o meglio “degli ambienti all’interno dei quali scoprire, modellare ed esprimere la nostra umanità”, secondo la concezione dello studioso statunitense Neil Postman.
Padre Stefano Gorla, il religioso barnabita direttore del settimanale «il Giornalino» e del mensile «GBaby» ha voluto sottolineare la responsabilità etica, morale e personale del giornalista, chiamato ad abitare e a conoscere nel profondo il mondo dei ragazzi. Se non conosciamo e amiamo il nostro fratello, mai conosceremo e ameremo veramente Dio: i bambini e i ragazzi sono “regno teologico”, sono immagine preziosa di Dio. Essere nativi digitali è un’esperienza e l’approccio corretto con il mondo digitale, habitat in cui i nostri ragazzi quotidianamente vivono, si traduce in tre linee guida: informare, educare e comunicare, creando e instaurando una relazione empatica e una comunione con loro.
Anche Marco Brusati che, dopo la direzione del CET, la scuola fondata da Mogol, dal 1998 è direttore generale di Hope Music, realtà nata su iniziativa del Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile della CEI, è fermamente convinto che i giovani oggi non hanno bisogno di forti sentimenti ma di un forte sentire. I modelli antropologici che presentiamo loro attraverso i prodotti mediatici, sembrano però viaggiare nella direzione opposta, all’ombra di quella fabbrica e di quella “industria del disagio” che continua a diffondere valori dettati solo dall’interesse di alcune multinazionali e da quella “idolatria del denaro” che Papa Francesco tanto denuncia e che sarebbe alla radice dei mali della nostra società. Il giornalista cattolico deve necessariamente porsi delle domande ontologiche e vagliare successivamente cosa è buono e cosa è giusto proporre, avendo il coraggio di fare delle scelte etiche.
“Dobbiamo essere esperti di umanità” esortava Paolo VI che aveva ben chiaro come “il pericolo non venga né dal progresso né dalla scienza ma dall’uomo, padrone di sempre più potenti strumenti, atti alla rovina e alle più alte conquiste”. Dal momento che i prodotti musicali mass-mediali sono centrali nella vita di un giovane, anzi sono la sua “vita”, possiamo affermare che la musica è davvero una performatrice culturale, ma non dobbiamo permettere che il gioco e il tempo del divertimento dei nostri ragazzi sia in mano alle quattro o cinque multinazionali più potenti che regolano non solo il mercato dei media discografici ma anche il futuro delle nostre generazioni. Gli adolescenti in modo particolare vengono forgiati nei comportamenti dall’humus culturale imperante, ma dobbiamo cercare di contrastare l’insorgere di uno “stato eteronomico”, come lo definiva nel 1961 lo psicologo sociale statunitense Stanley Milgram, secondo cui tutto ciò che viene proposto diventa modello, legge, autorità indiscussa a cui ispirarsi. É da questa cultura che nasce il desiderio di imitare tutti i modelli indistintamente, anche quelli non etici, in una sorta di processo mimetico.
Non esiste una comunità educante ma agenzie educative i cui principali attori sono tre: scuola, famiglia, chiesa. La sfida educativa si traduce ancora una volta nella presa di coscienza della realtà, nella sospensione nel giudizio senza sostenere luoghi comuni e nell’azione: anche il giornalista deve sentirsi educatore, senza avere paura di dare sostegno critico, senza mai scendere a compromessi che possano farci dimenticare la nostra eticità e il nostro dovere morale che si coniugano di pari passo con la nostra professionalità.