UNITA’ D’ITALIA IN CHIAVE THRILLER: “I TREDICI”
L’appassionante contributo di Mazzone con un film senza precedenti
KRIZIA RIBOTTA – 10.10.2011
I Tredici, thriller risorgimentale, prodotto dalla Pancreasfilm e sostenuto dalla Regione Piemonte e dalla Film Commission Torino Piemonte, è il primo lungometraggio di 90 minuti di genere drammatico-storico del regista Riccardo Mazzone. Non si allinea ai soliti canoni del film storico: storia e mistero, infatti, si intrecciano con lo splatter, elemento tipico delle pellicole horror, per creare un certo tipo di immagine che non ha precedenti nel suo genere. A cominciare da quello che in gergo cinematografico si chiama “spiegone finale”, fatto normalmente nell’epilogo, che qui viene inserito prima dei titoli di testa con due personaggi storici che parlano tra loro dell’incredibile vicenda.Nessuna lotta politica contro l’ingiustizia e l’oppressione, nessuna battaglia in cui giovani eroi sacrificano la vita per salvare l’idea di una nazione unita, ma un intrigo di spionaggio intinto di tanto sangue. Nel 1859, in una splendida villa fastosa della capitale sabauda, un gruppo di tredici persone della società che conta è segretamente riunito a cena nella tenuta dei Duchi Rebizzo per discutere delle sorti del Paese.
Apparentemente tutti sembrano accomunati da un forte spirito patriottico, ma ognuno nel suo interesse, con obiettivi diversi che fin dall’inizio fanno trapelare un’inevitabile spaccatura nel corso della serata. Certezza che viene confermata dall’irruzione improvvisa di un gruppo armato di rivoluzionari di stampo socialista che annuncia la presenza di una bomba sotto il tavolo, pronta ad esplodere non appena qualcuno si alzerà. Per nove giorni sono costretti a rimanere inchiodati ai loro posti, in un crescendo di tensione che vede coinvolte anche le due spie che si sono infiltrate tra gli ospiti e che si confrontano per capire chi è quella buona e chi quella cattiva. La lotta individuale alla sopravvivenza prende quindi il sopravvento su quei nodi ancora irrisolti della storia italiana.
I personaggi, anche se con identità diverse dalla realtà, sono stati creati basandosi sulle figure diplomatiche piemontesi di quel tempo, tra cui banchieri (Fabrizio Rizzolo), industriali (Mario Bois), vescovi (Tore Rizzo), generali (Umberto Procopio), senatori (Diego Casale), ingegneri (Sebastiano di Bella), diplomatici (Arlene Cracchiolo), duchi (Mario Marchetti e Donatella Bartoli), latifondisti (Fabrizio Careddu), armatori (Daniele Monachella), ricche donne della società (Cristina Serafini e Deanna Orienti) e servi (Manuel Bruttomesso).
La componente psicologica regna in questi “tredici” che, condizionati dall’ordigno sotto il tavolo, cercano di distrarsi facendosi coinvolgere l’un l’altro dai discorsi. Lo sviluppo di queste figure è molto funzionale alla storia ed ogni vicenda è collegata, per poter arrivare ad un finale in crescendo. La tecnica del trasfert usata dal regista sembra funzionare alla grande: a mano a mano il passato di ognuno viene fuori portando alla luce «tante sottostorie che nascondono segreti ed errori che si sono commessi in passato e che questi uomini sperano di escolpare tramite la confessione-chiacchierata che intrattengono l’uno con l’altro», come dichiara l’attore saluzzese Mario Bois.
La trama ruota in un contesto di ambiguità, enigmi, e coincidenze, a partire proprio dal titolo. «Mi piaceva giocare con la fonetica, – spiega il regista Mazzone – il tredici è, infatti, un numero simbolico che si presta a molte interpretazioni, tra cui quella del riferimento all’ultima cena, visto che tra gli apostoli si nascondeva un traditore». E prosegue: «Nella cultura anglosassone il 13 è anche un numero che porta sfortuna, per cui si parte subito con un presagio negativo alimentando poi la suspense che questo film sarà in grado di creare nello spettatore».», come dichiara l’attore saluzzese Mario Bois.
“I Tredici”, inoltre, è frutto di innovazione anche a livello tecnico: svolgendosi tutto in interni, la luce con tutte le sue sfumature gioca un ruolo fondamentale e i dettagli di fotografia che servono per indicare il trascorrere sia delle ore della giornata che dei giorni sono più curati rispetto ad altri film: la barba che cresce, la quantità di bevande nei bicchieri, il cibo che scarseggia, le ferite ed i lividi inferti ai personaggi. Un film in cui «il baffo, la pettinatura, i costumi, il linguaggio, l’etichetta: tutto è stato studiato nei minimi dettagli per dare un tocco di credibilità ad una vicenda che ha segnato la storia del nostro Paese» puntualizza Tore Rizzo. Dal punto di vista estetico, per non rendere noiosa la visione che si focalizza principalmente attorno al tavolo, si sono resi necessari molti cambiamenti dei movimenti di camera della regia, così da offrire allo spettatore più scettico, che immagina una possibile via di fuga, una visione globale in grado di aumentare la tensione.
Sono proprio questi elementi a rendere il film ancora più accattivante e stuzzicano lo spettatore che si trova a guardare un doppio thriller: quello storico e quello psicologico. In entrambi i casi, come dichiarato da Daniele Monachella, «i personaggi condividono con lo spettatore la tensione provocata dalla consapevolezza di sapere che sotto al tavolo c’è una bomba che sta per esplodere».
Un lungometraggio accattivante e perfettamente riuscito grazie al gran lavoro di squadra fatto da ogni persona: dagli attori, ai costumisti, dai parrucchieri ai truccatori, dagli scenografi ai direttori di fotografia. Attori dai volti familiari e noti in Piemonte, ricchi di esperienze televisive o teatrali, ma anche giovani emergenti come la promettente Arlene Cracchiolo. Professionisti con un’ottima dizione, che danno lustro alla rinascita del cinema italiano.