UNA COMICA ALL’UNIVERSITÀ
Un’informale conversazione con Luciana Littizzetto
TORINO- Lunedì 24 ottobre, in una gremita aula di Palazzo Nuovo si è tenuto un incontro organizzato dal Dams, intitolato “Comici dietro la cinepresa”. Ospite d’eccezione Luciana Littizzetto, celebre comica torinese che tra domande del pubblico, aneddoti e coinvolgenti gag, ha intrattenuto una platea partecipe ed interessata, dimostrando molta disponibilità.
Questo il suo intervento.
D:Com’è nata la tua passione per la recitazione?
R:Da bambina volevo fare l’attrice, ma i miei genitori (ndr, una coppia di pragmatici lattai) mi hanno sempre scoraggiata. Per un anno ho frequentato un corso di danza, ma viste le mie doti (ride), ho preferito dedicarmi alla musica. Molti dei miei parenti suonavano in una banda di paese, così ho continuato la tradizione di famiglia.
D:Qual è stato il tuo percorso di studi?
R:Ho frequentato il conservatorio parallelamente alle scuole superiori dalle suore. Era un po’ come l’inferno e il paradiso! Mi sono laureata a lettere in storia del melodramma, e anche al conservatorio. Così ho cominciato a lavorare come supplente di musica alle medie; è lì che ho avuto molti spunti per i miei personaggi.
D:La tua carriera è iniziata presto?
R:Tutt’altro. A 24 anni mi sono iscritta ad una scuola di teatro e ho fatto gavetta all’Hiroshima mon Amour,…devo molto a questo locale. Ho partecipato a qualche concorso per principianti comici e ne ho vinto uno a Saint Vincent. Da quel momento ho potuto entrare in televisione.
D:A quali programmi hai partecipato?
R:”Avanzi” (ndr, di Serena Dandini) è il primo. Avevo a disposizione solo pochi minuti per il mio sketch. Poi ho preso parte a tante puntate di “Cielito lindo”, con Bisio. E pensare che non volevano donne nel cast! Erano due realtà completamente diverse: il primo era un pubblico romano, molto più aperto alle inflessioni dialettali del sud. La realtà milanese, invece, mi ha permesso di esprimermi al meglio. Un personaggio come “Minchia Sabbry” ha avuto un impatto più efficace.
D:”Minchia Sabbry”, assieme a Lolita (“Ti amo, bastardo!”) è uno dei tuoi tormentoni. Come nascono?
R:Sono personaggi che nascono spontaneamente, dalle esperienze di vita e dalle persone che incontro. Quando i personaggi funzionano, diventano tormentoni e allora ti fanno pubblicare il libro, andare alle trasmissioni, fare film e pubblicità… Ad un certo punto c’è un momento in cui quel personaggio stufa e non funziona più.
D:Un po’ come per Zelig. Cosa ne pensi?
R:Zelig è il tempio della comicità milanese; da lì è nato il varietà televisivo a cui ho anche partecipato…prima che diventasse famoso! Secondo me è come una gabbia, perché finisci per rimanere vincolato al tuo tormentone. Lavorare a sketch è comodo. Il problema dei comici di Zelig è che usciti da lì devono riadattarsi. Un comico deve avere forme diverse a seconda di dove si trova e del pubblico che ha di fronte. Un po’ come lo slime!
D:Quanto spazio lasci all’improvvisazione?
R:Io scrivo sempre una traccia:il pensiero è importante e il comico non può parlare a vanvera. Però è importante non fingere; il comico deve dire cose che lo facciano divertire: solo con la spontaneità può coinvolgere il pubblico. Con la Gialappa’s lasciavo più spazio all’improvvisazione, perché loro fino all’ultimo non sapevano quello che avevo preparato. Anche il bacio con Pippo Baudo a Sanremo è stato frutto di un’improvvisazione. È successo che si sono scaricate le pile del microfono, la cosa peggiore che ti può capitare in diretta, così mi sono avvicinata a Baudo per parlare nel suo. Senza scarpe gli arrivavo all’altezza giusta. Quando mi ha abbracciata, senza pensarci l’ho baciato. Poi ci si è ricamato sopra, sono state dette molte cose, ma la verità è che era solo colpa del fonico!
D:C’è differenza tra il lavoro in TV e al cinema?
R:La TV ha tempi più brevi. La battuta deve essere improvvisa, deve quasi anticipare il pensiero del telespettatore. Il cinema ha tempi più lunghi e trame diverse. Finora mi hanno proposto solo commedie, ma sono in grado di impersonare anche personaggi più riflessivi, meno comici.
D:Qual è il personaggio che ti ha dato più soddisfazioni?
R:Minchia Sabbry. E Lolita, perché grazie a questo personaggio sono entrata a “Mai dire gol”, …era il mio sogno.
D:Qual è la parte di lavoro che preferisci?
R:Amo molto scrivere. I libri sono ancora un’altra cosa: le frasi scritte sulla carta non sono ad effetto come in TV. Il trucco è la chiusura: deve sempre ribaltare quello che hai detto prima. Oltre ai testi, scrivo anche sul “Torino sette”. E leggo molto, anche i giornali.
D:Cosa pensi della satira politica?
R:La satira contro il governo c’è da sempre, ma la chiusura degli ultimi tempi ha fatto nascere maggiore ostilità. Io non mi lascio strumentalizzare. La cosa migliore è non schierarsi, non lasciarsi classificare in una fazione politica. Un dissenso leale è la cosa migliore, o si rischia di scivolare nell’offesa. Appena parli sei classificato, basta pensare all’evento mediatico di Celentano. Trovo che non si debba investire qualcuno di troppa importanza.
D:Che programmi hai per il futuro?
R: Mi piacerebbe fare una trasmissione in terza serata, così avrei più libertà di esprimermi, ma per ora mi vogliono a tutti i costi in prima serata! Presto condurrò “Che tempo che fa” con Fazio. Prenderò il posto di Hilary, che è incinta, ma parlerò a differenza di lei.
Attualmente sto facendo un programma su radio dee jay, “La bomba”. Siamo riusciti a portare questa trasmissione a Torino e mi piace lavorare nella mia città. Spero di essere un motore di propulsione per Torino.
D:Che consigli dai a chi vuole intraprendere la carriera di comico?
R:Ci vuole allenamento e una buona dose di incoscienza. Il segreto è partire dal basso, come ho fatto io. Un cinismo di base non guasta, se unito all’autoironia, ma bisogna ricordarsi di guardare la vita con ottimismo. Personalmente prendo ispirazione dalla vita di tutti i giorni. Le mie amiche sono un patrimonio, una fonte d’ispirazione continua. Quello che rappresenta il comico è un microcosmo, una fetta di fauna umana. Perché fare il comico è solo un modo diverso di guardare la realtà.
Valeria Castellino
Corso giornalismo on–line Facoltà di Lingue
Fondazione Carlo Donat-Cattin