UMILI CERCATORI DEL MISTERO
Il fascino del creato: la scoperta delle grotte di Frasassi nel libro “Abisso Ancona”
Benedetta Grendene, 19.11.2016
GENGA (AN) -“E quando miro in cielo arder le stelle; dico fra me pensando: a che tante facelle? Che fa l’aria infinita, e quel profondo infinito seren? Che vuol dir questa solitudine immensa? Ed io che sono?”: l’attualità del “Canto Notturno di un pastore errate dell’Asia” di Giacomo Leopardi torna ad illuminare una storia molto bella, che ci insegna come a volte un sogno può diventare realtà.
Correva l’anno 1971 quando alcuni giovani ragazzi soci del Gruppo Speleologico Marchigiano CAI di Ancona, animati da una grande passione e da una grande curiosità, portarono alla luce la Grotta Grande del Vento di Frasassi: un angolo di natura incontaminata custodito nello straordinario complesso ipogeo delle Grotte di Frasassi all’interno del Parco naturale regionale della Gola della Rossa nel comune di Genga, in provincia di Ancona. Si presenta come una cavità talmente enorme che al suo interno potrebbe addirittura essere contenuto senza problemi il Duomo di Milano.
La cronaca emozionante della scoperta della Grotta Grande del Vento di Frasassi e delle esplorazioni vissute in prima persona, il dott. Sturba la racconta nel libro “Abisso Ancona”, pubblicato dall’Editore Marcelli nel 2016. “Abisso Ancona“, nome attribuito in onore della città degli scopritori, è la prima grotta che si palesa allo spettatore, in un mondo sotterraneo affascinante visitabile dall’attuale ingresso delle Grotte di Frasassi. Tra questi umili cercatori del Mistero, che ancora oggi a distanza di quarantacinque anni piangono dall’emozione di fronte alla meraviglia di una natura candida che si palesa a noi spesso in modo inaspettato, c’è il dott. Fabio Sturba, medico oncologo oggi in pensione. Fu il primo a forzare il “Passaggio del Vento” superando una strettoia, difficilissima ed impossibile per altri, attraverso la quale poi gli speleologi ebbero la possibilità di entrare nel cuore di Monte Valmontagnana nei pressi di Genga.
“Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”: scriveva Dante nel Canto 26° dell’Inferno. In questo “folle volo” il dott. Sturba non fu solo: accanto a lui un team composto da Maurizio Bolognini, Giancarlo Cappanera e Giuseppe Gambelli, testimonianza evidente che la vera bellezza fa straripare il cuore di gioia e per questo ha bisogno di essere condivisa con gli altri. Sentirsi parte di un tutto, essere destinati a portare alla luce una scoperta, piccola o grande che sia, per la collettività è un privilegio e si concretizza proprio nella ricerca di quei segni del carisma francescano che si traducono nella “vocazione del custodire” al cuore dell’Enciclica Laudato Si’. Questo fascino del creato e questa attenzione alla bellezza degli elementi della terra e del cielo e di ogni abisso creato, emergono infatti anche nel pensiero e nel magistero di Papa Francesco che, fin da subito dichiarò di aver scelto il nome del Poverello anche per amore del creato, per dare un contributo al tema dell’ambiente e della sua salvaguardia.
Fin dall’inizio del suo pontificato, durante l’omelia pronunciata il 19 marzo 2013, proprio all’inizio del ministero petrino, Papa Francesco ha ribadito che “La vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo”. Con queste toccanti parole il Santo Padre ha esortato il mondo intero a farsi “prossimi” di chi soffre, di chi è nel bisogno: “È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore.. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!”.
E un messaggio di speranza, di bene e di resurrezione va a quella gente del centro Italia che ha perso tutto e soffre accanto ad una natura pura e candida che oggi piange e soffre con noi, con i terremoti del nostro cuore. Persino la Basilica di San Benedetto da Norcia, Santo Patrono d’Europa e protettore di speleologi, architetti ed ingegneri, si è sbriciolata alla fine di ottobre divenendo il simbolo della tragedia, ma la risposta per ripartire sta tutta lì: nell’immagine di quei frati e di quelle suore benedettine di Norcia, in ginocchio davanti alla statua di San Benedetto pochi minuti dopo il terribile sisma. Tutto crolla ma niente potrà far vacillare la Fede in un Dio che è Padre, un Dio che è buono e che ci ama: solo Lui è in grado di colmare la sproporzione tra la finitezza dell’uomo cercatore del mistero e quell’infinito candore, quella struggente purezza delle Grotte di Frasassi.
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