TRASFIGURAZIONE
Il racconto della trasfigurazione di Gesù è un racconto simbolico elaborato e redatto nella comunità di Marco dopo gli anni ’70. Esso è più ricco e intensamente comunicante di una cronaca, perché il simbolo è una sorgente continua di senso.
Pietro, Giacomo e Giovanni sono i tre discepoli amici che Gesù porta sempre con sé, anche nei tempi e nei luoghi dove preferisce appartarsi per pregare. Nel caso, Gesù li porta “su un alto monte” (Mc. 9,2-10) luogosimbolo dell’incontro con il Dio vivente. Evidente è il richiamo al Monte Sinai.
Dell’amico Gesù incontrato a Cafarnao, con cui hanno percorso le strade della Galilea, di cui hanno ascoltato l’annuncio del Regno e visto le azioni che lo rendono presente, essi, là sul monte, intravedono l’identità: quel Gesù, di cui sono compagni di viaggio e di avventura, è il Figlio amato. Egli è la figura umana visibile del Dio invisibile che lo ama e lo genera, il racconto di Dio con noi.
Nella visione lo vedono “trasfigurato”: le sue vesti sono “splendenti, bianchissime, come nessun lavandaio potrebbe renderle”, ha accanto Mosè e Elia. I tre discepoli stupiti, presi da timore, cadono a terra. Pietro osa alzare lo sguardo e prendere la parola rivolto a Gesù: “E’ troppo bello … fermiamoci qui … facciamo tre tende, una per te, una per Mosè, una per Elia!”. Occorre invece scendere dal monte e continuare il cammino. Questo Rabbi amico si farà ogni giorno Figlio amato, fino al momento supremo della croce.
In questa visione raccontata possiamo vedere noi stessi come in uno specchio.
Pure noi – ciascuno nella propria esperienza – siamo figli amati e ben lo sappiamo che solo chi si sente amato sta bene, perché riposa nel bene e si sente libero nel fare il bene. Nella serena certezza di essere amati da Dio e dalle persone che ci stanno accanto, possiamo costruire la nostra esperienza di figli di Dio e pertanto di fratelli. La fraternità vissuta è la figura visibile della figliolanza.
Questa nostra figliolanza, che suscita ogni giorno gesti di rispetto e di amore del prossimo, è alimentata dall’azione creativa e generativa del Padre Nostro che sta nei cieli, accolta e resa operante dalla nostra libera scelta. Ogni giorno invochiamo “venga il tuo Regno”, ma il Regno diventa opera, attraverso il gesto delle nostre mani e i palpiti del nostro cuore.
Cinquecento anni fa, dal 1518 al 1520, Raffaello dipinse la Trasfigurazione commissionata dal card. Giulio Dè Medici, poi Papa Clemente VII. In alto, nella nube, la maestosa figura di Gesù Cristo con accanto Elia e Mosè e, ai piedi, i tre discepoli; in basso la narrazione della guarigione del ragazzo posseduto da spirito “immondo” (Mc. 9,14-29). Quel ragazzo, anche assediato dal male, è figlio amato e pertanto viene liberato dalla presenza salvifica di Gesù. Anche noi figli di Dio siamo lungo i sentieri della storia operatori di bene contro il male e testimoni di fraternità.
Questa è la nostra identità: fatti a immagine di Dio, ogni giorno disegniamo la nostra somiglianza con l’Amore. In questo nostro “farci figli” è in gioco, ogni giorno, la decisione libera, la nostra povertà, la possibilità di rifiuto, la lotta quotidiana con chi tenta di smentire la nostra identità.
D. M. Turoldo – morto 26 anni fa – contemplando la Trasfigurazione ci fa un invito: “Ama/saluta la gente/dona/perdona/ama ancora e saluta. Dai la mano/aiuta/comprendi/dimentica e ricorda solo il bene. E del bene degli altri/godi/e fai godere. Godi del nulla che hai/del poco che basta/giorno dopo giorno:/eppure quel poco/se necessario/dividi./E vai/vai leggero/dietro il vento/e il sole/e canta./Vai di paese in paese/e saluta/saluta tutti/il nero, l’olivastro/e pure il bianco./Canta il sogno del mondo:/che tutti i paesi/si contendano/d’averti generato”. (O sensi miei …, Bur, Milano 1993, Pagg. 514-515)
La Quaresima è tempo per rendere bella la vita, per coinvolgere il cuore e capire come ami le persone.
don Renzo
Ivrea, 25 febbraio 2018