“IL MISTERO DI UNA VITA SOSPESA” DI MARIAPIA BONANATE ALL’UNIVERSITÀ  DEL DIALOGO

ERICA ROSACE – 21.04.2014

Mariapia Bonanate all’Università del Dialogo,  15 aprile 2014 - foto G. De Franceschi /NP

TORINO – «Tu lo sai. Ho esitato a scrivere di questa nuova vita, tua e mia. Uniti e separati dal mistero di un evento che, in poche ore, ha capovolto le nostre esistenze. Più niente come prima. Mai più niente come prima. Quando si entra in situazioni estreme come la nostra, le parole scompaiono. È il silenzio che parla. Ma se la casa è diventata un luogo sacro, una piccola chiesa domestica, devi lasciare la porta spalancata, perché la vita entri ed esca. Per accogliere ed essere accolta». Con queste parole ricche di amore e speranza si apre l’opera autobiografica Io sono qui. Il mistero di una vita sospesa (Mondadori, 2012, 128 pp, € 17.50) di Mariapia  Bonanate.

Il volume è stato presentato martedì 15 aprile all’Università del Dialogo, lo spazio di formazione promosso dal Sermig di Torino, e ospitato presso gli spazi dell’Arsenale della Pace. Il tema dell’incontro era il dolore che bussa alle porte, il mistero della sofferenza, il dilemma etico che scaturisce dai temi della dignità e della morte: filoni riscontrabili nella drammatica vicenda raccontata dall’autrice.

Mariapia Bonanate, nata a Villeneuve (Ao) e laureata in lettere, è giornalista e scrittrice. Sposata, con tre figli, vive a Torino. Dopo aver insegnato per alcuni anni, si è dedicata al giornalismo e ha condiretto il settimanale nazionale «il nostro tempo». Ha svolto importanti inchieste sul mondo della donna e dell’emarginazione femminile, sulla malattia mentale e sull’alcolismo. Tra i libri pubblicati: Perché il dolore nel mondo? (1985), Il vangelo secondo una donna (1997), Suore (1998, da cui il regista Dino Risi ha tratto il film Missione d’amore), Preti (1999), Donne che cambiano il mondo (2004), Suore vent’anni dopo (nuova edizione rivisitata e ampliata nel 2010). Da anni assiste in casa il marito Danilo colpito dalla sindrome di Locked-in, che  a seguito di un ictus lo ha lasciato vigile e cosciente ma privo di motilità. Può comunicare solo attraverso il battito delle ciglia.

«La persona colpita da questa sindrome rimane lucida in un corpo immobile, c’è perché è viva, anche se la dimensione della sua vita cambia. Non abbiamo accettato di mettere mio marito in una struttura, abbiamo deciso di portarlo a casa, era giusto che continuasse ad essere al centro della nostra famiglia, come era prima». L’autrice vuole raccontare una storia d’amore, di amicizia e di fraternità, non l’iter di una malattia. Sebbene la vita possa essere velocemente sconvolta e capovolta da un evento così terribile, l’amore non ne viene affatto intaccato, perché è l’unico sentimento che non chiede niente in cambio. La sofferenza e la disperazione si aprono quindi a nuove forme di comunicazione e di aiuto reciproco.

Prima della malattia Mariapia e suo marito erano una coppia particolare, che aveva capito di poter crescere solo aprendo le porte della propria casa. Solo nella condivisione e nella fratellanza si possono combattere i limiti e le usure che rovinano molti rapporti, così come l’abitudine e il venire meno della freschezza. Maria pia e Danilo sono sposati dal 1966. «Dopo la malattia non ho voluto chiudere le porte, nonostante tutto, come sarebbe stato normale. Abbiamo continuato ad accogliere, siamo diventati una piccola Chiesa dove il letto di mio marito è l’altare». La vita familiare riprende a vivere attorno a quel letto, con i soliti ritmi, come se non avesse subito alcuna trasformazione. I figli le sono stati vicini ma Mariapia ha cercato di far continuare la loro vita nella normalità, nel quotidiano.

«Certo, ho attraversato la notte oscura di cui parlano i mistici: per me la notte oscura è il dolore provato in prima persona che stritola, che soffoca. Nei primi tempi è stato terribile. Poi il Signore mi ha fatto incontrare la figura di Etty Hillesum; leggendo il suo diario, Etty mi ha aiutato ad affrontare questo viaggio». Ed è proprio la sorprendente empatia con questa giovane donna scomparsa ad Auschwitz, che scrisse un indimenticabile Diario, a sostenere l’autrice nel suo viaggio interiore: «Nella terribile esperienza della persecuzione nazista che l’ha portata alla morte nel lager, lei testimonia che nessun dolore o sofferenza può avere la meglio sull’amore». Queste parole rivelano la forza di un sentimento profondo, capace di trasformare tutto, e di durare al di là di ogni limite temporale. La notte del dolore riesce così a prendere vita, una vita «bella e ricca di significato, meravigliosa». E ogni istante diventa eterno.

Per raggiungere questo obiettivo è però necessario cambiare stile di vita, vivere il mistero, che per Mariapia é stato la presenza della persona nonostante l’immobilità. «Ho dovuto cercare modalità nuove per relazionarmi con mio marito, senza parole ma con il silenzio, con sguardi profondi, con un contatto fisico fatto di baci ed abbracci e, sembra incredibile ma vi assicuro che è vero, insieme così abbiamo raggiunto un’intensità d’amore superiore rispetto agli anni precedenti». Questo nuovo amore muove da un’intimità inaspettata, da sguardi e sensazioni che passano attraverso i loro corpi e le loro anime.

Il racconto-verità di Mariapia Bonanate entra dentro al lettore e ne segna l’anima. Mostra come i sensi vengano usati troppo spesso con superficialità a causa dell’abitudine, ma soprattutto mostra come il silenzio possa recuperare sacralità ed essere loquace se si impara ad ascoltarlo. E le parole con cui l’autrice chiude la presentazione suonano forti e autentiche: «Mi sento di dire a chi attraversa un’esperienza come quella che sta vivendo la mia famiglia: non chiudetevi nel vostro dolore, tenete aperte le finestre della vostra casa: entrerà la speranza».