SESSANTANOVESIMA MEMORIA DELLA SHOAH

Il Genocidio non è un capitolo chiuso. Un’occasione per meditare.

ANASTASIA RADCHUK, 23.01.2014

Primo Levi. Scrittore, partigiano, chimico e poeta torinese sopravvissuto al campo di concentramento di Auschwitz.

TORINO – Il sessantanovesimo anniversario del Giorno della Memoria ormai è alle porte, eppure, malgrado il tempo ci allontani dalla tragedia, il peso sulla coscienza non ne trova conforto. Nuove generazioni ogni anno continuano a prendere consapevolezza della crudeltà umana, proprio come avrebbe voluto Primo Levi, superstite dell’Olocausto e autore torinese delle più importanti e dettagliate testimonianze scritte sulla vita nei lager. 

Una giornata dedicata al ricordo in cui riaffiorano le pungenti parole del doloroso diario di Levi, Se questo è un uomo, così come la grande quantità di altri materiali quali immagini e film; tuttavia una domanda sorge inevitabile: basterà un solo giorno per meditare su un dramma così grande? Affinché non sia solo uno scarico di coscienza, forse non basta fermarsi al ricordo. Sebbene si tratti di un percorso controverso, è necessario trasformare l’esperienza passata in qualcosa di più personale e utile alle nostre azioni future.

«Ognuno è l’ebreo di qualcuno » afferma Primo Levi nel 1982; Filippo Gentiloni, storico e giornalista, continuerà la frase : «E oggi i Palestinesi sono gli ebrei degli Israeliani ». Tali affermazioni rendono perfettamente l’idea della ciclicità di un male che continua a riproporsi a tutt’oggi, cambiando solo nella forma. Ecco che il genocidio nazista non è più solo un capitolo chiuso della storia umana, da cui tutti prendono le distanze con orrore (e talvolta osando persino metterne in dubbio la veridicità), ma resta un incubo senza fine protagonista di un presente che continua a contarne le vittime. E’ proprio sulla diffusione a livello mondiale delle discriminazioni razziali che si incentra la dura e intensa campagna di sensibilizzazione di Amnesty International, basata su uno slogan di grande efficacia riportato su foto a dir poco scioccanti : ”Non sta accadendo qui. Ma sta accadendo ora”. E’ così che l’Organizzazione Internazionale per i Diritti Umani denuncia i conflitti etnici, spesso a sfondo religioso, di cui è emblema la “Questione Palestinese”. Una lotta contro la censura, la disinformazione e il desiderio di ignorare la sofferenza dei paesi attualmente in guerra.

E’ importante considerare che i mezzi per accedere alle informazioni sono sempre più numerosi; sta a noi, “artefici del proprio destino”, chiudere la catena con uno sforzo attivo per far sì che il 27 Gennaio non sia solo il Giorno della Memoria, ma sia anche il giorno della “Meditazione”, un’occasione per invitare noi stessi e chi ci circonda a non estraniarsi dalla storia e dall’attuale contesto politico e sociale. Solo così potremo mantenere viva la speranza di cambiare le prospettive del mondo prossimo venturo. Una visione ottimistica ma necessaria, come conferma il celebre film di Roberto Benigni dedicato alla Shoah, il cui titolo è tratto da una frase del testamento di Lev Trotsky.

« La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla da ogni male, oppressione e violenza e goderla in tutto il suo splendore. »

Una delle numerosissime foto che testimoniano le condizioni in cui sono state ritrovate le vittime dell’Olocausto. Padre palestinese, Jamil Ad-Durra, nel disperato tentativo di salvare il figlio. Fotografia scattata poco prima che fossero ritrovati morti. Una donna ebrea cerca di difendersi contro le truppe di sicurezza israeliane.
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