QUATTRO CHIACCHIERE CON ERICA VAGLIENGO
Un caffè al bar per scoprire chi si cela dietro Emma Travet, la precaria più fashion del web
GIULIANA LINGUA – 28.05.2014
PINEROLO – Erica mi raggiunge affannata nel suo bar preferito di quella che definisce nel suo romanzo come ”la ridente cittadina”, Pinerolo. Ha occhiali affusolati da fashion blogger e una tagliente ironia, che scoprirò ereditata dalla nonna. Fa una battuta perchè il ”suo” tavolino è già occupato.
Ci accomodiamo, mi offre un pacchetto di RAMA caffè (www.ramacaffe.it), suo sponsor ufficiale, e iniziamo a parlare del suo libro Voglio scrivere per Vanity Fair, che ha firmato con lo pseudonimo di Emma Travet. Questa seconda edizione – esclusivamente in ebook- è edita da goWare ed è arricchita e aggiornata rispetto alla prima, cartacea. Al centro sempre le (dis)avventure di Emma Travet, giornalista precaria che sogna la redazione di Vanity Fair, ama lo shopping (rigorosamente vintage) e combatte le noie quotidiane con dolci e aperitivi con gli amici.
Erica Vagliengonon è solo una scrittrice ma è l’archetipo della giornalista contemporanea, blogger attenta al mondo che cambia e al contempo una cronista professionale e competente. Web journalist e blogger, collabora con marieclaire.it e puntkmagazine, tiene una rubrica su “La Rivista Intelligente”, è direttore responsabile di Scenario. Ha scritto per donnareporter.com, excelsiormilano.com, notenews.it, Oggi7.
Ordina ”il solito” (caffè, pasticcino e acqua naturale) e iniziamo la nostra chiacchierata.
Hai iniziato come giornalista ma ti sei riscoperta scrittrice: hai sempre avuto questo sogno?
Come recita la mia biografia, che potete leggere su ericavagliengo.com, la maestra delle elementari quando correggeva i miei temi lunghissimi diceva che io avrei fatto la scrittrice di Harmony … beh ci è andata vicino! (le scappa una risatina) In realtà io da ragazzina scrivevo tantissimi racconti lunghi, il giornalismo è arrivato per caso, poi tramite il giornalismo sono tornata alla scrittura. È stato un percorso circolare diciamo.
Il giornalismo mi ha dato tanto, ho iniziato dall’«Eco del Chisone», che cito sempre, perché è lì che ho fatto la ”gavetta”, ma io comunque sapevo che prima o poi avrei scritto un libro.
Parlando di ”gavetta”… tu come la consideri: un indispensabile periodo di formazione o piuttosto sfruttamento mascherato?
Me lo sono chiesta anche io dodici anni fa quando ho iniziato a farla. Secondo me è accettabile per un tempo limitato, soprattutto in un ambiente come quello del giornalismo. La situazione rispetto a quando ho iniziato purtroppo è peggiorata. Io devo ammettere di aver fatto una gavetta favolosa, perché dal primo articolo sono sempre stata retribuita e questo è stato possibile probabilmente solo in un giornale come l’«Eco del Chisone» – diamo a Cesare quel che è di Cesare (aggiunge ridendo) – perché già all’epoca i giornali non pagavano. Anzi addirittura sono stata pagata nell’ambito del giornalismo locale ma adesso che collaboro con marieclaire.it e altre riviste molto conosciute non percepisco nulla. Questo perché, proprio come scrivo nel libro, c’è questa idea del dover ringraziare di essere stata scelta perché c’è una fila di persone che lo farebbero al posto tuo. Quindi lo sfruttamento c’è eccome, e neanche troppo mascherato, anzi proprio conclamato.
Continuando a parlare di giornalismo, tu hai iniziato la tua carriera giovanissima con «Lookout», quando ti firmavi Leicav. Credi che qualcosa sia cambiato nel panorama del giornalismo da allora, gavetta a parte? In meglio o in peggio?
Purtroppo in peggio. Io ho iniziato nel 2001 e sapevo che non avrei mai vissuto il giornalismo. Avevo avuto occasione di parlare con alcuni giornalisti che mi avevano spiegato che fino al 2000 c’era stato una sorta di periodo d’oro per loro, non nel senso che fosse facile inserirsi in una redazione, ma nel senso che una volta entrati nell’ambiente da lì non ti schiodava nessuno…E come dicono: «fare il giornalista è sempre meglio che lavorare»!
Il 2000 è stato lo spartiacque, da quel momento è iniziato questo periodo nero di cui non si vede la fine, anzi, le cose continuano a peggiorare A volte capita che persone che hanno letto il mio libro mi scrivano e mi chiedano consigli, si tratta soprattutto di ragazzi che vogliono entrare nel mondo del giornalismo e mi chiedono come fare. Io consiglio sempre di avere il giornalismo come passione, fare gavetta, ma in contemporanea avere un lavoro – anche se spesso non troppo esaltante – che sia retribuito e che garantisca un’entrata mensile. Purtroppo di giornalismo non si vive e saranno sempre meno quelli che potranno farlo, e quei pochi saranno le firme consolidate.
Ti faccio questo esempio: nel libro uscito nel 2009 avevo scritto che Emma, precaria sfruttata dal capo, prendeva al mese quasi 700€. Mi ha scritto una ragazza, precaria sfruttata da un giornale famoso della zona di Firenze, dicendo che quella somma era troppo alta e non rispecchiava la realtà. Nella seconda edizione, a distanza di cinque anni, ho dovuto abbassare quella cifra di 200€. Se si vuole vivere di giornalismo bisogna inventarsi soluzioni creative e puntare sui social media ed essere molto versatili con la scrittura.
A proposito di creatività e versatilità : Emma – così come Erica – è un vulcano in eruzione, sempre alle prese con nuovi progetti e idee. Quanto di questa ”iperattività creativa” è dovuta alla precarietà e quanto alla tua indole eclettica?
Direi per l’80% alla mia indole eclettica. Da ragazzina mi sono annoiata tanto, direi che tutto è partito dal viaggio a Londra che feci a quindici anni, anzi, dal ritorno a Pinerolo (mi guarda sorridendo), perché al mio ritorno mi sono fatta tante domande. Quindi probabilmente è una cosa che ho sempre avuto dentro, poi ovviamente la precarietà ha amplificato questo aspetto. Sicuramente essere precario, anche tu lo saprai, costringe all’iperattività creativa – bella espressione, mi piace! (aggiunge, con un pollice alzato) – altrimenti sei tagliato fuori.
Erica Travet o Emma Vagliengo? In che rapporti sono quelle che definisci le tue ”due anime’‘?
Io principalmente sono Erica Vagliengo ma da sempre ho dei soprannomi, a partire dalle superiori e poi quando ho iniziato a lavorare con l’«Eco del Chisone» e con il magazine «Lookout». Mi è sempre piaciuta l’idea dell’alterego, poi devo ammettere che nel caso di ”Voglio scrivere per Vanity Fair” c’è stata una questione meramente pratica, perché mi sono accorta che Erica Vagliengo è un nome che storpiano praticamente tutti. Ho capito che avrei dovuto scrivere un romanzo con uno pseudonimo che fosse difficile da storpiare e facile da ricordare. Ho avuto l’illuminazione per questo nome nel 2006, l’ho cercato su google e ho scoperto che non c’era nessuno che si chiamava così! Oltretutto Emma Travet è un nome che si ricorda facilmente anche in altre lingue e che non si storpia.
Immagino che però capiti che le persone ti chiamino Emma…
Sì per circa tre anni a partire dal 2009, quando è uscito il romanzo cartaceo, le persone mi chiamavano e conoscevano come Emma. Nell’ultimo anno e mezzo però ho lavorato parecchio per far uscire allo scoperto il mio vero nome Erica Vagliengo, quindi adesso è più chiaro chi sono.
Emma Travet sogna New York, il mondo della moda e più di ogni altra cosa un futuro nella redazione di «Vanity Fair». Credi che partire dalla provincia l’abbia in qualche modo ostacolata?
All’inizio sì. Quando ho scritto il romanzo ho sempre lamentato il fatto di vivere nella ”ridente cittadina”, ma ancora adesso per carità (alza gli occhi al cielo). In realtà se Emma Travet non fosse nata in provincia non avrebbe potuto avere tutto quel successo che ha avuto. La provincia in realtà non è stato l’ostacolo ma è stato lo stimolo, infatti tantissime persone famose arrivano dalla provincia. Vivere in provincia secondo me ti annienta oppure ti spinge a uscirne ad ogni costo. Io sono partita da Pinerolo ma grazie a una rete di contatti nata dal web sono arrivata a New York a presentare il mio libro.
A proposito del tuo romanzo, questa uscita recentemente on-line è la seconda versione (precedentemente uscito in versione dopo quella cartacea del 2009). Cosa è cambiato rispetto alla prima edizione?
È cambiata la storia, cioè non è stata proprio stravolta ma ho introdotto due personaggi, di cui uno fondamentale perché sarà quello che traghetterà Emma Travet nel secondo romanzo.
Quindi ci sarà un seguito! Il romanzo in effetti lascia alcuni dubbi irrisolti e una grande domanda che tu stessa rivolgi ai tuoi lettori: «Voi cosa fareste al mio posto?» Qualche anticipazione a riguardo?
C’è già un titolo, ci sono i personaggi, le loro caratteristiche, tutte le location, ho un editor che mi segue ma… non posso svelare niente di tutto ciò! Però posso dire che la storia riguarderà Emma Travet cinque anni dopo, in una situazione totalmente diversa, con amici diversi. Sarà una Emma cresciuta. Il libro sarà cartaceo e uscirà nel 2015 e chiederò che ci sia anche una versione ebook che voglio curare personalmente aggiungendo le ”chicche” che non si possono trovare nel cartaceo.
Il tuo ebook in effetti è molto particolare, ci sono infatti molti link ipertestuali che io personalmente ho apprezzato moltissimo. È però uno strumento da molti scrittori non considerato, tu come la pensi a riguardo?
Sicuramente in Italia siamo indietro di anni luce. L’ebook è uno strumento straordinario per fare delle sperimentazioni, non si sostituisce al libro cartaceo ma si pone come valore aggiunto. Secondo me tutti gli scrittori dovrebbero cimentarsi almeno una volta nella vita con l’ebook, uscire esclusivamente in cartaceo è riduttivo.
La mia esperienza è stata un po’ particolare perché io avevo già il cartaceo, in seguito ho deciso di rilanciare l’opera ma solo nella forma on-line, e grazie a tutti i collegamenti internet e agli hyperlink è stato facile riaggiornare la storia che in effetti era datata. Ho voluto soprattutto mettere questi hyperlink perché i lettori potessero entrare nel mondo di Emma Travet, invece molto spesso l’ebook non è valorizzato perché viene visto come una mera trasposizione su internet della versione cartacea. Io ho provato a giocarmi tutte le possibilità che questo strumento offre, infatti gli hyperlink ti portano sulla pagina facebook di Emma Travet, al suo Twitter, agli articoli che ho scritto cui si fa riferimento nel libro, al negozio online dove si possono comprare i vestiti citati nel romanzo eccetera. Io l’ho fatto perché mi sono molto divertita, devo ammettere che la mia agente è stata bravissima perché ha trovato un editore che fa solo ebook quindi ha valorizzato il mio lavoro e mi dà un supporto notevole. È sicuramente uno strumento molto utile, se non per vendere – perché comunque vendere libri in Italia è una cosa molto difficile – almeno per farsi conoscere.
L’ebook “Voglio scrivere per Vanity Fair” è disponibile ON LINE su tutti gli store: http://www.goware-apps.com/voglio-scrivere-per-vanity-fair-emma-travet/
©riproduzione riservata