OLTRE LA FRONTIERA, UN INCONTRO O UN ABISSO?
Tutti vivi presso Dio…
Pochi giorni fa abbiamo celebrato, noi credenti in Cristo, la festa di Tutti i Santi e, il giorno dopo, la festa dei santi di casa, i nostri morti.
Personalmente credo che mio padre e mia madre vivano presso Dio una vita piena e felice, ma spesso, quando leggo di tanti migranti annegati nel grande cimitero del Mediterraneo, riemerge in me la domanda: oltre la frontiera della morte, un incontro o un abisso? Cosa avverrà dopo? Un giudizio o un abbraccio?
Faccio mie le parole del Card. Ruini, uomo e credente: “Non sono arrivato ad avere del «dopo» una certezza puramente razionale…”. (C. Ruini, C’è un dopo? La morte e la speranza. Mondadori, Milano, 2016)
I testi letti domenica 6 novembre, Lc. 20,27-38 e Mac. 7,1-2, 9-11, sono apodittici: i nostri morti sono risorti ed ora sono “simili agli angeli”, poiché sono figli della risurrezione, figli di Dio.
Proviamo insieme a comporre nella fede il mosaico dei risorti, suggerito dai testi biblici.
Gli uomini tutti sono creature umano-vitali, solidali con la terra, capaci di vivere e donare vita perché tutti fatti a somiglianza del Dio dei viventi, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe… il Dio di tutti.
Noi uomini, tutti i figli del Dio che è Vita, siamo, nel tempo, generati dalla catena umana evolutiva del “far figli”, catena che si prolungherà fino alla fine del mondo, catena indistruttibile nel tempo, catena più forte della morte. Non è un caso che gli ebrei, che nella loro esperienza quotidiana erano “uditori di una Parola” che si rivelava nell’esperienza segnata dalla fede come Parola di Dio, prima dei Maccabei individuassero nella catena delle generazioni una forma di risurrezione.
La morte, antidio, – e già ci inoltriamo nel mistero – distrugge e continuerà a distruggere l’uomo umanizzato nel tempo, ma quest’uomo – così recita la fede ebraico cristiana – subito, oltre la frontiera, Dio lo risorgerà. Lo rimetterà in piedi nel “senza tempo” e lo fisserà nella compiutezza umana.
Nel tempo l’uomo si fa uomo, come un tessuto sempre incastonato nel telaio, con l’incrocio dei mille fili delle sue relazioni con se stesso, gli altri, la natura, la storia. L’immagine veritiera dell’uomo nel tempo non è la Pietà di Michelangelo a San Pietro in Roma, ma la Pietà Rondanini sempre in abbozzo, pronta per essere completata. La morte interrompe l’abbozzo.
Nell’istante in cui l’uomo risorge, risorge così com’è in quel tempo umanizzato dalla sua storia vissuta, con i suoi legami affettivi – l’amore è come una spola? – annodati alla sua autentica identità di figlio dell’uomo e pertanto figlio di Dio, immagine del Vivente, chiamato dal Creatore per nome.
La vita dei risorti oltre alla frontiera del tempo, può essere immaginata solo con figure del tempo-spazio, come fa Dante nella Divina Commedia e come tante pitture popolari li ritraggono nelle facciate delle nostre chiese. La vita dei risorti non è un prolungamento di tale figure, perché dove sono non hanno figure spazio-temporali, perché là non c’è né tempo né spazio.
Gesù, così nel testo letto, non delude la speranza di chi gli rivolge la domanda: la risurrezione è l’esito definitivo dell’esistenza nella storia. In Lui, primo dei risorti, tutti risorgeremo e saremo simili agli angeli. Risposta puntuale, ma ancora avvolta nel mistero.
A conclusione di queste riflessioni, la parola di un bravo teologo vivente Sesboüé: “tutto ciò che fa la nostra identità di uomo e di donna, identità modellata dalla nostra storia terrestre, sarà dunque tutto conservato, pur essendo trasfigurato. L’essere personale che noi ci saremo forgiati, la ricchezza delle nostre esperienze, il patrimonio culturale acquisito nella nostra esistenza, tutto questo, che è frutto della grazia e della nostra libertà, si conserverà con tutte le capacità di apertura, di relazione, e di comunione così suscitate. Il cielo sarà il luogo in cui si ritroveranno le relazioni umane stabilite in questo mondo. Dio allora potrà prendere in mano questo essere incompiuto per dargli nuove dimensioni di cui non abbiamo idea”. (Dopo la vita. Il credente e le realtà ultime, Cinisello B., Milano 1992 p. 126)
In sintesi: “è giusto che sia così perché la salvezza eterna è un dono da chiedere con umiltà, non qualcosa da conquistare, nemmeno sul piano conoscitivo”. (Ruini, ibidem)
Solo l’amore gratuito e creatore di Dio fa di ciascuno, umanamente rimasto abbozzo, un “mio nome compiuto”, com’è la Pietà di Michelangelo a San Pietro, perfetta, senza possibilità di ulteriori modifiche e aggiunte.
Noi già viviamo in anticipo un evento-segno di quella vita piena. E’ il nostro piacere di vivere oggi qui, quella felicità possibile nella storia, con la cura delle nostre capacità e possibilità, perché tutti siamo creati da Dio che è Amore-Vita per una vita bella, buona e felice.
Domenica, 6 novembre 2016
don Renzo