LUIGI PIRANDELLO PIÙ CHE MAI ATTUALE
Oltre 100 anni fa il grande scrittore siciliano profetizzava il depauperamento della società e il bisogno impellente dell’uomo nel dare un senso alla vita.
Giuseppe Sciavilla – 01.02.2019
Ivrea – La sera del 29 gennaio a Ivrea all’interno del caratteristico Teatro Giacosa vi è stata una bellissima rappresentazione teatrale del celebre romanzo di Luigi Pirandello Il fu Mattia Pascal, interpretato dal noto attore romano Daniele Pecci, per la regia di Guglielmo Ferro. E’ un romanzo pubblicato nel 1904 ma attualissimo nel suo messaggio.
In tutta la sua produzione Pirandello cerca di mettere in luce il dramma dell’uomo contemporaneo: frammentato, senza certezze, alla ricerca di un ideale che ricomponga la sua “unità perduta”. Proprio negli anni in cui Freud rivoluzionava la psicologia, Einstein introduceva la relatività, il grande genio di Pirandello descriveva la “perdita del centro” da parte dell’uomo. Difatti, oggi, viviamo in un momento in cui la fine delle ideologie indica una modernità compiuta, le contrapposizioni sono perdenti: oggi tutto è sfumato. Non siamo nell’epoca dei sistemi, ma della frammentazione culturale, sociale, esistenziale. Ci si accontenta di verità parziali e provvisorie senza più tentare di porre domande radicali sul senso e sul fondamento ultimo della vita umana personale e sociale. Pirandello con la sua visione introduce l’avvento del relativismo culturale e l’affermazione dell’uomo tecnologico. E’ quasi misterioso che un autore degli inizi del’900, sia abile nel comprendere la nostra cultura contemporanea tanto da anticiparne e coglierne gli sviluppi. L’opera di Pirandello è attraversata dalle domande che l’uomo si pone da sempre: Chi è l’uomo? Da dove viene? Qual è il suo destino? Qual è la sua meta? Qula è il senso della vita e della morte? La risposta è nell’espressione latina nomen est omen, il nome è un augurio, cioè il nome che si concretizza nella profezia del destino. Cosa può liberarci da quella prima lettera N del nomen perché si possa trovare il proprio compimento? Ecco la storia di Mattia Pascal la conosciamo quasi tutti, studiata a scuola sui libri di letteratura. Ma quello che mi preme sottolineare di questo personaggio complesso ed enigmatico è che Mattia Pascal è un uomo che scappa dalla sua vita e cerca di costruirne una nuova, senza riuscirci. Egli si libera del suo vero nome Mattia Pascal si tramuta in Adriano Meis convinto di poter essere artefice del proprio destino.
Dal racconto si evince che Mattia Pascal “muore”, sebbene vivo, perché abbandona la sua vera identità. Quando la notizia della sua morte viene data sul quotidiano del paese lui non intende disconoscerla anzi approfitta di quell’occasione per cambiare identità. Ma questa nuova identità gli costa caro. Così quando il nuovo Adriano Meis vorrebbe integrarsi nella società di Roma per sposare Adriana Paleari non gli è possibile. Perciò prova a ritornare ad essere Mattia Pascal, ma non gli è possibile perché Mattia Pascal è ufficialmente morto. In seguito ad un intervento all’occhio Adriano Meis trascorre un periodo di convalescenza in casa di Anselmo Paleari. In quest’occasione Paleari ha occasione di delineare la sua filosofia per mezzo della metafora della Lanterninosofia. Anselmo Paleari è un personaggio chiave nel racconto di Pirandello, in quanto è colui che manifesta la teoria filosofica del poeta. Paleari è un uomo completamente estraneo alla realtà che lo circonda a causa delle sue grandi riflessioni che espone continuamente al povero Pascal-Meis mediante la “Lanterninosofia”. La sua vita è dedicata al tema dell’occulto. L’occulto è l’argomento che più interessa ad Anselmo e organizza spesso sedute spiritiche con lo scopo di richiamare anime dei morti. E’ proprio mediante tali sedute spiritiche che Paleari manifesta la lanterninosofia di Pirandello.
Secondo tale teoria la nostra esistenza è come un lanternino che proietta una luce che tramuta la natura di ciò che ci circonda, in ogni ambito della nostra conoscenza. Ogni luce, ogni lanternino è diverso dall’altro, e così ciò in cui crede, percepisce e sente. Così come ogni epoca proietta una luce predominante che, come per la teoria del colore, si assomma ai lumi di ciascuno. “Un lanternino che ciascuno di noi porta in se acceso; un lanternino che ci fa vedere sperduti su la terra, e ci fa vedere il male e il bene; un lanternino che proietta tutt’intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l’ombra nera, l’ombra paurosa che non esisterebbe, se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi dobbiamo purtroppo credere vera, fintanto ch’esso si mantiene vivo in noi. Spento alla fine a un soffio, ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimaniamo noi piuttosto alla mercè dell’essere, che avrà soltanto rotto le varie forme della nostra ragione?”. Così la filosofia di Pirandello attraverso il personaggio del Paleari si rivela agli occhi dello spettatore.
Bisogna dire che in Il fu Mattia Pascal si arriva al culmine della visione filosofica dell’io-diviso di Pirandello. E’ la parabola della depersonalizzazione e dello smarrimento dell’io. Difatti questa idea dell’io-diviso diventa una sorta di filo d’oro in tutta l’opera Pirandelliana. La si percepisce già nei primi due romanzi di Pirandello nell’Esclusa e ne Il Turno, che fanno da preludio e introducono la visione dell’io-diviso per l’opera successiva Il fu Mattia Pascal. Ma questa idea dell’io-diviso il poeta siciliano la riprende nell’opera Uno, nessuno e centomila. Qui si tratta di una vera e propria crisi di depersonalizzazione, come si nota in Il fu Mattia Pascal. Ma in Uno, nessuno e centomila la problematica dell’io-diviso come dice lo stesso titolo, è portata all’estreme conseguenze, approdando a una sorta di annichilimento dell’io. Il protagonista ricerca il “vero io” e quindi il suo vero volto nascosto sotto “falsi io” sociali che sono le maschere che l’uomo nella vita si mette. Siamo al centro di quella che è stata chiamata la dialettica delle maschere e del volto che, come si è detto, caratterizza tutta l’opera di Pirandello e che in Il fu Mattia Pascal culmina con Adriano Meis e in Vitangelo Moscarda, per così dire, si approfondisce.
Non si può non complimentarsi con il cast artistico, soprattutto con il protagonista Pascal-Meis Daniele Pecci e con Rosario Coppolino bravissimo interprete di due ruoli Don Eligio-Paleari. Gli attori hanno portato “a presenza” un testo del scolo scorso, attraverso la loro indole artistica, hanno saputo travasare nell’atmosfera magica del teatro i valori, le contraddizioni, le luci e le ombre, e il dramma che pervade l’uomo di ogni epoca. Interrogativi affascinanti e profondamente umani, e non solo interrogativi dei filosofi. Visto che fin dalle prime espressioni figurative, già dell’uomo preistorico, emerge il bisogno di senso, la ricerca di un contatto con una realtà soprannaturale in grado di spiegare il mondo naturale, la vita.Questa forma d’arte che è il teatro, può aggiungere molto di valido all’inesauribile cammino di ricerca che l’uomo può compiere, allargando la conoscenza sia del mondo che lo circonda che nel suo universo interiore.