LUCIANO CAPELLI, “IL VESCOVO VOLANTE”
Amore, passione e un pizzico di fantasia caratterizzano la sua opera missionaria nelle isole Salomone, agli estremi confini della terra
MARTINA PRAZ, 27.06.2016 FOTOGALLERY
TORINO– Una manciata di isole, sospese tra l’azzurro del cielo e il blu dell’oceano Pacifico, in cui regna la natura incontaminata e la semplicità degli abitanti. Benvenuti nella diocesi di Gizo, nelle isole Salomone, terra adottiva del missionario salesiano Luciano Capelli, una persona semplice, ma dal cuore grande.
Originario di Cologna di Tirano, in provincia di Sondrio, Monsignor Capelli ha davvero dedicato anima e corpo ai problemi che affliggono questo territorio meraviglioso, fino a diventarne vescovo nel 2007. L’isolamento, la carenza di servizi nel campo dell’istruzione e della sanità, i cambiamenti climatici sono solo alcune delle piaghe su cui il missionario lombardo, insieme ai tanti volontari della Missione Don Bosco e dell’associazione AMIS (Amici missione isole Salomone), cerca di far leva per regalare un futuro migliore alla popolazione locale.
Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo di persona proprionel giorno della ricorrenza di Maria Ausiliatrice, il 24 Maggio, nella casa madre dei salesiani a Valdocco. Le sue parole e il suo sorriso contagioso non potevano che lasciarci nel cuore una grande lezione di vita.
Dalle alpi valtellinesi alle isole Salomone. Monsignor Capelli, come ha inizio la sua avventura “fuori porta”?
“Tutto è iniziato a 18 anni, con la mia partenza come missionario nelle Filippine. Ci sono rimasto per ben 34 anni. Con l’apertura della missione prima in Papua Nuova Guinea, poi nelle isole Salomone, ho lasciato le Filippine per dedicarmi a questi nuovi territori. Dal 1999 opero nelle Solomons Islands e nel 2007 sono stato ordinato vescovo della diocesi di Gizo da Benedetto XVI. Insomma posso definirmi il missionario più isolato del mondo, agli estremi confini della terra”.
A proposito di isolamento, le isole Salomone offrono scenari naturalistici spettacolari, ma allo stesso tempo presentano problematiche non indifferenti…
“Purtroppo si, e la carenza maggiore sta nel campo della sanità e dell’istruzione. Il governo purtroppo non riesce a garantire questi servizi in tutte le isole, il territorio è troppo frammentato e per spostarsi da una parte all’altra occorrono anche diversi giorni. L’isolamento e la mancanza di mezzi di collegamento e di trasporto rendono molto difficile la comunicazione e la mediazione e così le varie tribù sono costrette ad arrangiarsi da sole a volte ricorrendo alla violenza per aggiudicarsi la supremazia su un dato territorio. In questo scenario è indispensabile l’intervento della Chiesa, che tramite le sue strutture radicate nelle differenti isole si occupa di riorganizzare l’educazione e la sanità distribuendo nella maggior parte del Paese infermieri e maestri”.
E proprio per far fronte al problema dell’isolamento si è aggiudicato il simpatico appellativo di “vescovo volante”…
“Esattamente. La diocesi di Gizo è molto estesa, racchiude circa una trentina di isole e vengono parlate 10 lingue nel raggio di 300 km. Un vescovo nella sua missione ha l’esigenza di stare vicino alla gente, per incoraggiare e sostenere chi ha il morale a terra. Per questo a 60 anni ho deciso di prendere il brevetto di volo e dotarmi di un ultraleggero per raggiungere in poco tempo anche i punti più lontani del territorio”.
Proprio dal problema della lontananza ha preso ispirazione per la sua ultima incredibile iniziativa. Ce la racconta?
“Siamo nell’anno del Giubileo della Misericordia e Papa Francesco ha disposto che si aprisse in ogni diocesi una Porta della Misericordia. Purtroppo il problema dell’isolamento e la difficoltà nei trasporti che caratterizzano il nostro territorio impediscono alle persone di raggiungere in tempi brevi il centro diocesano per assistere alle celebrazioni. Così mi sono chiesto, perché non far arrivare la Porta santa direttamente nelle varie isole? Ecco allora che abbiamo installato la porta direttamente su una barca, che per due mesi si è messa in viaggio fino a raggiungere gli isolotti e i villaggi più sperduti della diocesi”.
In che modo è stata accolta la Porta Santa nei vari villaggi?
“Il programma è stato replicato in maniera pressoché analoga in ogni villaggio: dopo la cerimonia di benvenuto ufficiale alla Porta Santa da parte dei Guerrieri del villaggio faceva seguito una liturgia della durata di 3 giorni per presentare il senso del Giubileo, svolgere insieme una veglia di preghiera, proporre il sacramento della Riconciliazione e poi aprire un dialogo di riconciliazione tra persone e gruppi in conflitto tra loro. I miei sacerdoti sono stati sorpresi dalla partecipazione e dalla buona volontà sperimentata e vissuta in un vero clima di misericordia. Che bello quando ci si sa perdonare e ricominciare da capo… sbagli e conflitti possono diventare momenti di incontro e di crescita se affrontati con cuore aperto, con fede e con generosità”.
A proposito di fede, qual è il rapporto delle persone locali con la religione? La sua opera missionaria viene facilmente accettata?
“Le isole Salomone sono indipendenti dal 1978, e la Costituzione dichiara che la nazione è una “ Christian Nation”. Lo stesso inno nazionale è una preghiera a Dio che recita God save our Solomon Islands from shore to shore… Essendo un protettorato inglese, la chiesa di maggioranza è quella Anglicana, seguita dal cattolicesimo e da varie chiese cristiane protestanti. La gente è religiosa. I sacerdoti sono pochissimi e le comunità piccole e isolate. I missionari ormai appartengono al passato, sono pochissimi quelli rimasti, il cui sforzo più urgente è quello di formare il clero locale. Molti sono i catechisti, ben formati e calorosamente accettati nei villaggi. Sostenere la loro formazione è uno degli impegni maggiori del mio ruolo di vescovo”.
Mi permetta una curiosità, come vivono gli abitanti delle isole Salomone? Cosa potremmo imparare, noi occidentali, abituati ad una routine frenetica, dal loro stile di vita?
“La popolazione locale è ancora organizzata in tribù. La priorità qui è sopravvivere, non si tratta di pensare al domani ma all’oggi. Per questo ci si accontenta e si è felici di quello che la natura, in particolare la foresta offre. Con un po’ di felci selvatiche e una manciata di patate si ha la cena, per intenderci. E’ uno stile di vita molto semplice, senza stress, in cui il segreto è accontentarsi e apprezzare ciò che si ha senza avere la presunzione di desiderare sempre qualcosa di più”.
In questi anni avete fatto molto per le Solomon Islands: avete riparato i danni dello tsunami del 2007, costruito scuole, chiese e ospedali. Oggi qual è la vostra maggiore priorità?
“La sfida che abbiamo attualmente è quella di sostenere le strutture che abbiamo costruito con la formazione di personale locale nel campo dell’istruzione e della sanità, che sia in grado di gestirle. Ci mancano insegnanti e medici professionalmente preparati a offrire un sostegno valido alla comunità, per questo la nostra priorità è organizzare dei corsi di formazione. Pensi che abbiamo allestito un barca a ospedale ambulante e a fine luglio arriveranno due medici di Roma che si occuperanno di curare le cataratte e le malattie alle orecchie dei bambini, due problemi ad alta incidenza nella popolazione locale”.
Per concludere un messaggio che sintetizzi la sua lunga esperienza missionaria…
“Insomma senza cuore nulla ha valore, tutto è vanità. Col cuore tutto diventa passione, amore e ragione di vita!”
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