LA FESTA DEL CORPUS DOMINI
La festa del Corpus Domini fu celebrata la prima volta a Liegi nel 1247. Papa Urbano IV la estese a tutta la Chiesa con la bolla Transiturus l’ 8 settembre 1264. Essa celebra la Cena che il Rabbi Gesù ci lasciò in sua memoria.
Gesù si congedò “dai suoi”, – quel gruppo di discepoli uomini e donne, che aveva contagiato con il sogno del Regno di Dio – con una cena. Non lasciò, in sua memoria, né un codice scritto con leggi, né uno statuto. Lasciò la sua Parola, il suo Vangelo e la Cena.
Ci racconta Marco (cap. 14, 12-26) che il 1° giorno degli azimi di quell’anno, Gesù mandò due discepoli a cercare a Gerusalemme la stanza in cui preparare la mensa, perché voleva con loro “mangiare la Pasqua”, cioè fare la rituale cena che ogni anno celebrava, e ancora si celebra, il passaggio del popolo ebraico dalla schiavitù di una vita mortificata in Egitto, alla libertà di un ben-essere vissuto nella Terra promessa.
Al termine della Cena, quando sul tavolo era rimasta l’ultima focaccia e un calice di vino, Gesù sbocconcellò il pane, invocò la benedizione, ne distribuì un pezzo a ciascuno, dicendo: “Prendete, mangiate questo pane è il mio corpo”, poi passò il calice pieno di vino e disse ancora: “E’ il mio sangue dell’Alleanza che è versato per molti…”. Da quel giovedì, ogni domenica, noi cristiani “mangiamo la Pasqua” in sua memoria.
Quel pezzo di pane offerto da Gesù a tutti i commensali in quella sera, è un pane saturo di presenza e di significati. E’ segno di fertilità, di vita nascente perché chicco caduto in terra che muore per non restare solo e generare spiga; è nutrimento a noi necessario per vivere; è pane spezzato che, distribuito, unisce.
La coppa di vino, da cui ciascuno beve un sorso, richiama i grappoli portati a spalle dagli esploratori della Terra promessa come segno di una terra che produce in abbondanza. Richiama quanto Gesù disse di se stesso: “Io sono la vita, voi i tralci”; richiama l’affermazione ripetuta nella scrittura: “Il vino allieta il cuore dell’uomo!” e la sequenza semantica vino che è segno di sangue versato per un’Alleanza di doni scambiati tra cielo e terra e tra gli abitanti della terra.
Quel pane e vino, che Gesù quella sera donò ai commensali, e, con quella cena ripetuta da tutti i credenti, è dono di sé. L’aveva detto: “non c’è amore più grande di questo: dar la vita per chi si ama”.
Il corpo-sangue di Cristo – fortunati quelli di lingua tedesca che non usano körper ma leib! – è il concentrato di storia e di relazioni che Gesù in persona visse e vive in mezzo a noi: Egli si è fatto e si fa continuamente carne, vicinanza, condivisione di affetti, fratellanza, racconto, appartenenza, canto … Si fa uno di noi, fino alla fine dei tempi. Per questo la Cena, ripetuta ogni domenica, è sorgente di comunione, che di tutti noi fa “un solo corpo”.
Questa cena è di certo memoria di Lui, Corpo storico attivo che perennemente genera “chiesa”.
L’evento cristiano è tutto lì, in questa Cena, Parola, pane e vino mangiati in forma liturgica, inculturata nei vari tempi di secoli e nel vari modi del vivere nei cinque continenti.
Quando si porge la mano per accogliere quel Pane e lo si mangia, con il gesto, tacitamente si dice: “In Cristo, con Cristo, per Cristo … io credo Te, amo Te, vivo con Te e con tutti i miei fratelli”.
Ai bambini che hanno fatto la Prima Comunione vorrei dire: “Quando tu hai mangiato, e tutte le volte che tu mangerai quel pane, tu mangi la storia di Gesù, la Sua presenza, tutta la sua vita. Forse la tua mamma, pochi giorni dopo la tua nascita, ti alzò con le sue braccia fino all’altezza del suo volto e guardandoti negli occhi ti disse: “Vorrei mangiarti … Tanto di voglio bene … Sei la mia vita”. Quando celebri con noi la Messa-Cena, tra te e Gesù avviene la stessa cosa.
don Renzo
Ivrea, 3 giugno 2018