L’UMANITA’ DI UN POETA NEI RICORDI DI FAMIGLIA
Marinella Venegoni dialoga con Cristiano De Andrè
SILVIA ALBA, 19.11.2014
TORINO – Tra corso Francia e corso Monte Cucco, immersa nei caldi colori autunnali del Parco della Tesoriera, ecco la biblioteca civica musicale “Andrea della Corte”, che Mercoledì 12 Novembre ha ospitato in un nostalgico pomeriggio di pioggia, per il ciclo “Figli di tanto padre”, un’intervista dal carattere intimo e famigliare con Cristiano De Andrè, condotta da Marinella Venegoni. Ospite speciale, Dori Ghezzi.
Sono proprio loro, sposa e primogenito, ad allietare il pubblico con ricordi affettuosi e simpatici aneddoti su colui che per tutti noi italiani rimarrà per sempre uno dei più grandi cantautori della storia della musica.
Cristiano racconta che fin da bambino aveva capito che il suo papà “non era come tutti gli altri”: infatti quando Fabrizio andava a dormire, il figlio usciva per andare a scuola… ma in quei pochi momenti in cui si vedevano avevano modo di scambiarsi cose, opinioni, consigli. Continua ricordando di come già in tenera età capiva la poesia del padre, quel suo tipico mal di vivere, per quali idee e valori si schierava.
Fabrizio De Andrè era un uomo segnato da una profonda umiltà, da un fortissimo senso autocritico e dalla voglia irrefrenabile di dare sempre il meglio di sé, di spingersi sempre oltre. Addirittura arrivò a bloccare per otto mesi l’uscita di un disco, e solo perché si era reso conto che una parola non esprimeva alla perfezione ciò che egli voleva comunicare. Divorava montagne di libri e riempiva di appunti i bordi della pagine, annotando riferimenti ad altri testi. Dopo aver terminato una lettura amava tornare sui suoi stessi appunti, rimandandosi così ad altre opere, in un circolo senza fine.
Questo era Fabrizio, nella sua costante ricerca di conferme, timido quel tanto che basta per iniziare tardissimo ad esibirsi dal vivononostante il suo previo successo, senza mai però superare del tutto quelle insicurezze che più volte lo hanno allontanato dal mondo della musica. Intervenendo al riguardo, Dori Ghezzi ricorda come la decisione del compagno di ritirarsi in campagna lo avesse invece aiutato ad andare avanti con la sua produzione poetica. Un uomo che non ha mai nemmeno osato definirsi un poeta e che, a sconfessione di coloro che lo definirono ateo, per Cristiano resta forse una delle persone più credenti che abbia conosciuto.
La vena creativa non tardò a manifestarsi anche nei figli. Specialmente in Cristiano che, nonostante gli iniziali avvertimenti di papà, dimostra presto come invece la musica gli scorra nel sangue, e manifesta l’intenzione di metterla al centro della sua vita. Fabrizio stesso nella sua esemplare umanità ha visto in suo figlio un artista più bravo di lui, senza però mai alimentare inutili competizioni.
Questo dialogo tra presente e passato continua in un fluire di ascolti di canzoni e di ricordi di collaborazioni passate. In una dimensione indefinita ed intrisa di nostalgia sembra quasi che lo stesso Fabrizio De Andrè sia presente, lo si vede prendere forma dalle parole di Dori e Cristiano, ma anche dalle espressioni emozionate e compiaciute del pubblico, che si sente ormai come fosse della famiglia. E’ in questo clima che termina l’intervista, dopodiché quasi in un festoso happening, Cristiano si esibisce in alcuni dei suoi pezzi, tra cui il celebre “Notti di Genova”.
La sua voce è calda e soave, proprio come quella del padre, colui che quando se n’è andato ci ha fatto capire che il suo posto era nell’ “Olimpo dei grandi”. Perché come spesso accade, si capisce la grandezza di una persona solo dopo la sua morte.