INTERVENTO DEL PADRE FRANCESCANO GIACINTO D’ANGELO
Per la presentazione del libro “Non guardate la vita dal balcone … Francesco, testimone di speranza”di Alessandra Ferraro
GIACINTO D’ANGELO, 20.09.2015
SARNO, Parrocchia San Teodoro-Parto dal sottotitolo “Francesco, testimone di speranza” che sottende a questo stupendo mosaico di 16 quadretti che l’autrice Alessandra Ferraro ha composto per offrirci la figura di questo grande protagonista del nostro tempo che è Papa Francesco, da tutti acclamato e ritenuto un grande testimone di Cristo e annunciatore del Vangelo più che con le parole con l’atteggiamento di vita e l’immediatezza dei rapporti che cerca di stabilire con la gente comune.
É il Papa delle sorprese e dell’imprevedibilità per i contatti cercati e la sua prossimità soprattutto con i poveri e gli ultimi (vedi i tre clochards invitati a colazione per il suo compleanno, nel primo quadretto e tutti gli altri “fioretti” che la cronaca registra per noi).
Dal 13 marzo 2013 a oggi, Papa Francesco ci ha dato due encicliche: Lumen Fidei (2013) e Laudato sì (2015); un’esortazione apostolica Evangelium gaudium (2013; le due bolle Misericodiae vultus (2015: per l’anno giubilare della misericordia) e Mitis et misericors Jesus (2015: riforma del processo canonico per la dichiarazione di nullità del matrimonio).
Questi documenti, ma ne ha dati molti altri che non menziono, ci offrono veramente la cifra di questo Papa che continua a sbalordire come nei suoi due interventi al Congresso degli Stati Uniti (Abolire la pena di morte ed eliminare il commercio delle armi) e alle Nazioni Unite (casa, terra, lavoro per tutti; basta abuso e usura verso i Paesi poveri, strangolati dalla finanza i poveri sono costretti a vivere da scarti; l’attacco all’ambiente pone a rischio la specie umana …) interrotto 27 volte dall’applauso dell’assemblea.
Vorrei soffermarmi sull’esortazione Evangelii gaudium, nella quale Papa Francesco ha tracciato le linee guida del suo pontificato: è come un testamento, contiene tutto quello che intende dire alla Chiesa e a questo nostro tempo; i documenti successivi sono solo per ribadire e approfondire i contenuti dell’EG.
Fin dai primi giorni del suo pontificato è apparso chiaramente come al centro del suo magistero ci sia questo: vivere il Vangelo. Il Vangelo è possibile perché tocca il centro della nostra umanità, il centro dell’umanità di Cristo, la relazione profonda tra la carne di Dio e la nostra nel mistero della carne del Cristo. Ed è radicata qui l’urgenza che il lieto annuncio della fede cristiana debba essere fatto risuonare nuovamente, come se fosse la prima volta.
E sia comunicato da tutti a tutti. In una missionarietà totale e continua di ogni componente del popolo di Dio: portare la gioia e lo scandalo di un’umanità afflitta e salvata, santificata da Cristo, ovvero è la logica della croce. Per fare questo occorre uno sguardo fiducioso, pieno di speranza, affidato interamente alla grazia di Dio. Grazia e incarnazione sono le due figure teologiche portanti del pontificato.
Oggi, dopo l’Evangelii gaudium, ci sembra di vedere ancora più nitidamente perché Bergoglio ha scelto di portare il nome di Francesco. E in quel nome, non san Francesco, ma frate Francesco. Non la metamorfosi politica e istituzionale della santità, ma la conformazione a Cristo sino all’annientamento. In quel nome, divenuta figura teologica, sono ribaltati i valori del mondo, i criteri di giudizio, la scala delle priorità, la collocazione degli individui nella società e nella storia. Per questa via di Francesco, Papa Francesco chiede la conversione della Chiesa, a partire dalla conversione del papato, e la sua riforma. Ma se questa “follia” è stata possibile per un solo uomo, essa è davvero possibile per la Chiesa e il mondo? É il Vangelo come forma Ecclesiae. Nuovamente. Questo è il sogno o la “follia”. Questa è perfetta letizia, direbbe Francesco d’Assisi.
La follia, però, trova anche delle realizzazioni che risolvono le barriere create dagli uomini. Il 19 settembre scorso, in una conversazione telefonica, il presidente statunitense, Barack Obama, e quello cubano, Raúl Castro, leaders dei due Paesi che Papa Francesco ha visitato: concordemente essi hanno riconosciuto ed elogiato il ruolo avuto da Papa Francesco nel promuovere le relazioni tra i due Paesi, questo ha reso noto la Casa Bianca. Stessa espressione è in una nota del ministero degli Esteri cubano secondo la quale Obama e Castro ritengono importante il contributo dato dal Pontefice all’avvio di una nuova tappa nelle nostre relazioni, culminata con la ripresa lo scorso 20 luglio dei normali rapporti diplomatici interrotti per oltre mezzo secolo.
Papa Francesco è giunto a Cuba accolto dall’entusiasmo della gente, il 21 settembre 2015: un avvenimento che riempie di speranza, così Papa Francesco, appena giunto all’Avana, ha definito, sabato pomeriggio, il processo di normalizzazione delle relazioni tra Cuba e Stati Uniti. Un processo di cui è stato uno degli artefici. Per questo dalla capitale cubana ha chiesto ai responsabili di proseguire nell’alto servizio che sono chiamati a prestare a favore della pace.
Quella pace richiamata subito dopo la partenza da Roma, salutando i giornalisti che lo accompagnano nel decimo viaggio internazionale mentre l’aereo sorvolava il Mediterraneo. Parlando dei migranti che fuggono dalle guerre in cerca di pace, ha confidato di essersi «emozionato tanto» perché a salutarlo alla partenza, davanti a Casa Santa Marta, c’erano i profughi siriani, accolti dalla parrocchia vaticana di Sant’Anna. Poi ha salutato singolarmente ogni rappresentante dei media a bordo.
É l’utopia della pace che papa Francesco non si stanca di promuovere e quella della speranza che propone in tutti i suoi interventi.
«La speranza si genera nel lavoro: e qui faccio riferimento a un problema molto grave in Europa, la grande quantità di giovani che non hanno lavoro. – ha detto Papa Francesco nel discorso ai giovani all’Avana – Ci sono paesi in Europa dove i giovani sotto i 25 anni vivono disoccupati per percentuali del 40 per cento, del 47 per cento, in un altro paese del 50 per cento. – ha sottolineato – Un popolo che non si preoccupa di dare lavoro ai giovani, un popolo, e non dico governo, ma tutto il popolo, questo popolo non ha futuro».
Secondo Francesco «i giovani entrano a far parte della cultura dello scarto. E tutti sappiamo oggi che, in questo impero del dio denaro si scartano le cose e si scartano le persone: si scartano i ragazzi perché non li vogliamo più, anche prima di nascere, si scartano gli anziani perché non producono più, in alcuni paesi c’è l’eutanasia. Ma fra di noi – ha aggiunto – c’è un’eutanasia nascosta, mascherata: si scartano i giovani perché non hanno lavoro. E che cosa fa un popolo senza lavoro? A questi giovani non rimane che il suicidio, o cercare eserciti di distruzione per fare guerre. – concludendo – Questa cultura dello scarto sta facendo male a tutti, ci toglie la speranza».
A tal proposito significativo è il suo racconto: «A Buenos Aires, in una parrocchia nuova, in una zona molto, molto povera, un gruppo di giovani universitari stava costruendo alcuni locali parrocchiali. E il parroco mi ha detto: “Perché non vieni un sabato e così te li presento?”. Si dedicavano a costruire il sabato e la domenica. Erano ragazzi e ragazze dell’università. Sono andato e li ho visti, e me li hanno presentati: “Questo è l’architetto, è ebreo, questo è comunista, questo è cattolico praticante, questo è …”. Erano tutti diversi, ma tutti stavano lavorando insieme per il bene comune. Questa si chiama amicizia sociale, cercare il bene comune».
E spiega con determinazione: «L’inimicizia sociale distrugge. E una famiglia si distrugge per l’inimicizia. Un paese si distrugge per l’inimicizia. Il mondo si distrugge per l’inimicizia. E l’inimicizia più grande è la guerra. Oggigiorno vediamo che il mondo si sta distruggendo per la guerra. Quando c’è divisione, c’è morte. C’è morte nell’anima, perché stiamo uccidendo la capacità di unire. Stiamo uccidendo l’amicizia sociale. Questo vi chiedo oggi: siate capaci di creare l’amicizia sociale.
Poi c’è un’altra parola: la speranza. I giovani sono la speranza di un popolo. Questo lo sentiamo dire dappertutto. Cos’è la speranza? È essere ottimisti? No. L’ottimismo è uno stato d’animo. Domani ti alzi col mal di fegato e non sei ottimista, vedi tutto nero. La speranza è qualcosa di più. La speranza è sofferta. La speranza sa soffrire per portare avanti un progetto, sa sacrificarsi. Tu sei capace di sacrificarti per un futuro o vuoi solo vivere il presente e quelli che verranno si arrangino?
La speranza è feconda, essa dà vita. Tu sei capace di dare vita, altrimenti sei un ragazzo o una ragazza spiritualmente sterile, incapace di creare vita per gli altri, incapace di creare amicizia sociale, incapace di creare patria, incapace di creare grandezza. La speranza è feconda. La speranza si dà nel lavoro.
Se un Paese non inventa, se un popolo non inventa possibilità di lavoro per i suoi giovani, a quel giovane restano solo o le dipendenze o il suicidio, o andare in giro a cercare eserciti di distruzione per creare guerre. Questa cultura dello scarto sta facendo del male a tutti noi, ci toglie la speranza.
Se io incontro un giovane senza speranza – tuona Papa Francesco – quel giovane è un “pensionato”. Ci sono giovani che sembrano andare in pensione a 22 anni. Sono giovani con una tristezza esistenziale. Sono giovani che hanno puntato la loro vita sul disfattismo di base. Sono giovani che si lamentano e fuggono dalla vita.
Il cammino della speranza non è facile e non si può percorrere da soli. C’è un proverbio africano che dice: “Se vuoi andare in fretta, vai solo, ma se vuoi arrivare lontano, vai accompagnato”. Voglio che voi, giovani cubani, anche se la pensate in modo diverso, con punti di vista diversi, andiate in compagnia, insieme, cercando la speranza, cercando il futuro e la nobiltà della patria.
Abbiamo iniziato con la parola “sognare”, voglio concludere con un’altra espressione: la cultura dell’incontro. Per favore, non dividiamoci tra noi. Andiamo insieme, uniti, anche se la pensiamo diversamente, anche se sentiamo diversamente. C’è qualcosa che è superiore a noi, è la grandezza del nostro popolo, è la grandezza della nostra patria, ed è a questa bellezza, a questa dolce speranza della patria, che dobbiamo arrivare. Grazie».
Un’ultima riflessione la dedico all’enciclica Laudato si, nella quale san Francesco viene citato 12 volte e si rivela di essere la chiave dell’intero testo. Il Papa dice: «Ho preso il suo nome come guida e come ispirazione nel momento della mia elezione a Vescovo di Roma».
Credo che Francesco sia l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di un’ ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità. È il Santo patrono di tutti quelli che studiano e lavorano nel campo dell’ecologia, amato anche da molti che non sono cristiani. Il testo, presentato ufficialmente giovedì 18 giugno 2015 in Vaticano, attualizza in questo momento storico il carisma francescano, soprattutto per quanto riguarda il rispetto per ogni forma di vita.
Proprio il Cantico delle Creature, espressione dello stile di vita di San Francesco, è un inno alla vita in tutte le sue forme, sia naturali sia umane. Francesco ha instaurato un rapporto di profonda sintonia con tutta la creazione, soprattutto con il vertice dell’opera creatrice di Dio, ossia l’umanità. A questa speciale relazione s’ispira il Papa nel suo impegno per i poveri e gli emarginati, per la pace, la riconciliazione e la cura del pianeta, dimostrando le qualità profetiche che derivano dall’essere in comunione con Dio, con i propri simili, con se stessi e con l’universo creato. Per questo motivo, Papa Francesco ha osato abbracciare e portare avanti il mandato del discepolato cristiano modellato sull’esempio di san Francesco d’Assisi. L’Enciclica sfida tutti a semplificare la propria vita, a spogliarsi e ad abbandonare ciò che non è necessario, in modo da poter riscoprire la bellezza che Dio ha posto in noi, cioè in ogni persona, e in ogni cosa creata. La vocazione cristiana è vivere una solidarietà senza limiti con tutto quello che Dio ha creato.
E concludo: molto bene ha ricordato la nostra autrice, nell’ottavo quadretto, ciò che il cardinale francescano Claudio Hummes diceva a Bergoglio quando i cardinali si orientavano sul suo nome per il nuovo Papa e lo incoraggiava raccomandandogli soltanto «Non dimenticare i poveri!» e il Papa ha preso il nome di Francesco, uomo della povertà, uomo della pace, che custodisce il Creato.
Il Cantico delle creature di Francesco d’Assisi inaugura la letteratura italiana ed è una vera trasgressione: abbandona la tradizionale poesia in latino per utilizzare il volgare umbro. Nuova trasgressione è stata quella del cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio quando, per la prima vota nella storia della Chiesa, sceglie il nome del Poverello come nome di pontefice, senza numero d’ordine. Altra trasgressione è stata quella di porre la sua ultima enciclica sotto il segno del Cantico con l’incipit in lingua volgare, dove, di solito, si aspetta la classica dignità del latino.
Convento Sant Maria ella Foce
84080 EPISCOPIO di SARNO (SA)
Fr. Giacinto D’AngeloCell. 3398062813 tel. 081.943722
E-mail: dangelo.pgiacinto@gmail.com
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