IL FASCINO DELL’APPARIRE. CHI SI UMILIA SARA’ ESALTATO
Ogni volta che incontro questa pagina di Matteo (23,1-3): “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filatteri e allungano le frange; amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare «rabbì» dalla gente”, pagina rivolta a scribi e sacerdoti e quindi rivolta anche a me, che faccio parte del clero, provo imbarazzo a commentarla … La tentazione sarebbe di tacere e riflettere.
Sono certo però che anche voi riflettete con me e pertanto accetto il vostro aiuto.
Oggi viviamo il tempo della globalizzazione e il tempo secolare. Dopo quella dei tempi dei greci e la successiva iniziata ai tempi di Cristoforo Colombo, con le caravelle che attraversavano gli oceani, la terza globalizzazione attuale è caratterizzata dalla dimensione mondiale della comunicazione e del mercato. In questo nostro tempo, finita la colonizzazione dei popoli, essi fanno storia come soggetti attivi che tessono relazioni mondiali.
La secolarizzazione ha promosso il riconoscimento della libertà religiosa individuale, strettamente connessa con la dignità assoluta della persona umana.
In questo contesto culturale ogni rapporto e ogni relazione vengono, da ciascuno di noi, personalizzati. Viene personalizzato il rapporto con il prossimo: per ognuno di noi la parola “prossimo” richiama immediatamente il “prossimo per me”, i condomini, il vicinato, i poveri che incontro, i migranti ospitati nel quartiere.
E’ pure personalizzato il rapporto con Dio: coscienti o no, ciascuno si rivolge al “suo” Dio e, nel caso di noi cristiani, al Dio raccontato da Gesù, ma raffigurato in un’ottica personale. Per alcuni è il richiamo al volto di Dio padre misericordioso, per altri a quello del Creatore-Legislatore, per altri ancora a quello di Giudice.
Le relazioni personalizzate hanno grande valore, perché convincono e muovono il mondo degli affetti.
Due atteggiamenti – racconta Matteo – possono inquinare queste relazioni. Il fascino dell’apparire può far diventare il proprio rapporto col prossimo e con Dio esibizione, per ottenere consenso e ammirazione. L’apparire in prima pagina è considerato, spesso, il modo originale di essere al mondo.
Il secondo atteggiamento è l’ipocrisia. Essa è l’osservanza rigorosa della norma, cui non corrisponde il vissuto. Quando si personalizza la norma a volte la si irrigidisce, per dimostrare una coerenza rigorosa a cui, di fatto, non corrispondono tutte le nostre azioni. La norma viene annunciata e conserva la sua validità. Le azioni nostre spesso la smentiscono e allora l’avvertimento: “osservate quello che dicono, ma non quello che fanno”.
Gesù propone, a fronte dell’apparire e dell’ipocrisia, uno stile di vita: “Chi tra voi è grande sia servo … Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.
L’invito a servire: tutti abbiamo doti personali che, sviluppate, producono beni. Tali beni vanno messi al servizio del bene comune.
Poi l’invito all’umiltà, a quel sentirsi partecipi dell’ humus della madre terra, generatrice di vita. Tutti partecipi di quella realtà generativa, che sta all’origine della nostra avventura e ne accompagna il percorso in una fondamentale uguaglianza che ci accomuna. C’è attorno all’uomo d’oggi una desertificazione spirituale che ha spinto a dichiarare l’individuo contemporaneo “un uomo di sabbia” (C. Ternynch), privo del legame coll’ humus vitale che alimenta corpo e anima. Nel contempo c’è, nell’uomo oggi, un desiderio e un bisogno, spesso nascosto, di “apparire con l’essere”, di dare senso alla vita, al dolore e alla morte. Un bisogno di verità, di giustizia e di felicità.
Ha ragione Papa Francesco che, in un twitt di mesi fa, scrisse: “Nell’umiltà c’è un seme di un mondo nuovo”.
Ivrea, 5 novembre 2017 – don Renzo