GESU’ E I MERCANTI DEL TEMPIO
Il testo di Giovanni fu redatto nella chiesa apostolica di Efeso attorno all’anno 100 d.C. A Efeso viveva una comunità di ebrei, greci, romani, fedeli di religioni orientali; una comunità multietnica e pluri-religiosa.
Giovanni e la chiesa cristiana redigono il racconto con intenti dichiarati: vogliono descrivere l’identità di Gesù storico e risorto come realizzatore del regno di Dio che “tanto ha amato il mondo da dare il figlio unigenito” (Gv. 3,16), in un confronto con la visione giudaica e configurare il compito della comunità cristiana. La descrizione della cacciata dei venditori del tempio è posta all’inizio nel racconto evangelico nel “libro dei segni”. Questi venditori, che esercitavano un’attività legittimata dalla legge, hanno trasformato il luogo santo dell’offerta sacrificale in un “covo di ladri” (con un richiamo a Is. 5, 6-7 e a Geremia 7, 9-11).
Gesù disse pertanto a loro: “Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato” (Gv. 2,16).
Noi ascoltiamo questa Parola, nella liturgia domenicale, come rivolta a noi, perché il nostro cammino ne sia illuminato. Cerco di suggerire alcune piste di riflessione.
Il creato, con tutti i suoi beni aria, acqua, terra con le sue risorse, ambiente, è, seconda la Bibbia, la casa degli uomini e la casa di Dio con noi. L’ordine del Creatore fin dall’inizio, quando consegnò all’uomo ciò che aveva creato, è “crescete, moltiplicate, custodite”.
Questo habitat a noi affidato è caratterizzato dal dono e dal lavoro dell’uomo. Dal dono, perché noi siamo “esseri donati a noi stessi” – nessuno è l’origine di sé stesso. Nascita e crescita avvengono solo accogliendo energie vitali e beni che vengono a noi da altri uomini, dall’ambiente e da Dio. La nostra crescita, personale e collettiva, è un libero traffico di talenti che opera nel progetto di Dio. Il traffico dei talenti va fatto con umana responsabilità, orientata al bene comune, sotto la luce della Parola: “Ama Dio con tutto il cuore, il prossimo come te stesso. Soccorri l’affamato, l’orfano e la vedova … Un bicchier d’acqua donato merita la vita”. Di tutto siamo o dovremmo essere moltiplicatori e custodi responsabili.
L’opera del mercato nei secoli, con modalità differenti e varie, è l’industria della produzione e scambio di beni necessari e utili per un costante progredire della nostra storia. Quando però, nell’esercizio mercantile, prevale la volontà di possesso e l’uomo dà soggetto dialogante si trasforma in soggetto padronale, il suo “traffico” contrasta con l’intenzionalità del progetto creativo di Dio, la cui traiettoria è segnata dal dono che deve essere moltiplicato e ridonato.
Nel cammino storico degli uomini in epoche e terre differenti, il mercato è stato ed è un’opera che, se alimentato dal lavoro, moltiplica, distribuisce e scambia i beni prodotti. Il lavoro alimenta il mercato il quale, se opera all’interno della finalità del mondo creato, distribuisce con giustizia i beni prodotti per il bene comune. Esso pertanto, all’interno del progetto illustrato dalla Bibbia, è, con tutti i suoi limiti, un bene.
Se però gli uomini da custodi si trasformano in soggetti padronali e sfruttatori, avviano un mercato moltiplicatore di beni che rende il ricco sempre più ricco e il povero sempre più povero fino a diventare “uno scarto”. Esso allora diventa un male e su di esso cade la parola di Gesù: “Via di qui … da questo mondo a voi affidato … Non potete fare della casa vostra e di Dio un covo di ladri”.
Se poi, con un percorso ancora più scuro, non più il lavoro, ma il gioco finanziario è del mercato il motore e solo pochi scaltri attori e spettatori usufruiscono dei beni prodotti e ad esso è assegnato un potere quasi onnipotente, esso sconfina nell’idolatria, perché “uno solo è il Signore”.
Parafrasando Isaia 5,6: “Se il mercato diventa un covo di sfruttatori, che produce scarti umani, la via vigna, dice il Signore, è ridotta ad un deserto”.
don Renzo
Ivrea, 4 marzo 2018