GESTI E PAROLE CHE HANNO CAMBIATO LA STORIA:
Lo stile della comunicazione in Italia ai tempi di Papa Francesco
Benedetta Grendene 20.06.2016
GROTTAMMARE (AP) – “Pellegrini nel cyberspazio. Raccontare la foresta che cresce”: questo il titolo del terzo meeting nazionale dei giornalisti cattolici che si sono incontrati a Grottammare (AP) dal 16 al 19 giugno per confrontarsi e riflettere sull’impegno a cui gli operatori della comunicazione sono chiamati, sulla scia di un Papa che sin dalla sua elezione al soglio pontificio nel 2013 ha tracciato un nuovo cammino nel modo di comunicare.
La vaticanista dell’agenzia Ansa Giovanna Chirri ha sottolineato come Bergoglio, primo papa gesuita non europeo e il primo a chiamarsi Francesco, ha da subito aperto una novità inaugurando un nuovo stile di vita che potesse essere un esempio per tutti: non ha scelto di andare a vivere nell’appartamento papale al terzo piano del Palazzo Apostolico, dove i pontefici hanno vissuto per più di 140 anni, ma di stabilirsi a Casa Santa Marta. Molto ha colpito nel luglio 2013 il significativo viaggio a Lampedusa dove con un chiaro “No alla globalizzazione dell’indifferenza” ha posto al centro i migranti con gesti inaspettati, non previsti da nessun protocollo ma dettati dalla voce del cuore e a seguire in settembre la veglia di preghiera per la pace in Siria, in Medio Oriente e nel mondo intero. Nel 2014 durante la visita apostolica in Corea il Santo Padre ha voluto essere presente nel centro di recupero “House of Hope” a Kkottongnae tra i disabili: anche in quell’occasione lo sguardo di Francesco mai costruito ma sempre attento e pronto ad accogliere la sofferenza, ha lanciato un messaggio significativo al mondo intero. Papa Francesco ha messo in discussione con questo suo modo di essere anche noi giornalisti, costringendoci a tornare alle radici del nostro mestiere: un Papa che con continui fuori programma accantona i testi dei discorsi parlando a braccio, ti spinge a seguirlo, ad essere sempre desto e “vigilante”. E la Chirri questo atteggiamento lo ha fatto suo da sempre, tanto che fu la prima giornalista ad intercettare dalla Sala Stampa Vaticana lo “scoop” sulle dimissioni di Benedetto XVI e a darne la notizia al mondo intero traducendo l’annuncio in latino introdotto dalla celebre formula “Ingravescentem Aetatem” con cui Ratzinger comunicò la sua decisione.
Anche Paolo Ruffini direttore di TV2000 ha voluto sottolineare come i gesti di Bergoglio non sono fini a se stessi, ma acquistano valore e significato in quanto si accompagnano ai comportamenti e sono espressione di uno stile, di un modo di essere. Papa Francesco sfida noi giornalisti a fare bene il nostro lavoro, senza fermarci al gesto ma andando “oltre” e in profondità, con la Sua stessa capacità di guardare l’altro con tenerezza. Bergoglio desidera essere ed essere percepito come uno di noi, uguale ma allo stesso tempo diverso da chi lo ascolta: c’è qualcosa di misterioso che trascende la sua persona. Ruffini ricorda quel “Buonasera” con cui salutò il mondo intero al momento della sua elezione: è il segno di una straordinarietà nella normalità. Quel “Buonasera” ci fa tornare all’essenza del Cristianesimo, perché Gesù si rivolge a noi con la stessa semplicità di un Dio che si fa uomo e sceglie come compagni di viaggio dei pescatori. Papa Francesco è tutto questo: un Papa che umilmente si inginocchia per confessarsi riconoscendosi peccatore come noi, un Papa che mangia alla mensa, un Papa che stringe la mano alle guardie svizzere, un Papa che se ti incontra ti guarda negli occhi e ti ascolta, un Papa che parla un linguaggio diretto, senza schemi e lontano anni luce dalla “leadership” moderna. Noi giornalisti siamo dunque chiamati ad essere mediatori tra la Verità e il pensiero della gente ma d’altronde come si chiedeva Paolo VI: “A cosa serve dire quello che è vero, se gli uomini del nostro tempo non ci capiscono?”. La sfida delweb e dei new media ci interpella in questa direzione, invitandoci a coltivare la nostra identità ma mostrandoci sempre aperti al confronto, chiamati ad essere “uno Spirito all’opera” a “costruire mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo”. Nel cyberspazio la distanza si riduce, aumenta la condivisione ma a noi giornalisti cattolici spetta l’arduo compito di fare da ponte, di costruire un dialogo e di far sì che le differenze possano convivere e integrarsi in un arricchimento comune.
Francesco Zanotti presidente della FISC ha richiamato l’importanza di dare voce a chi non ha voce, raccontando l’esperienza senza dubbio emblematica vissuta in aprile, in occasione dell’Udienza privata in Sala Nervi che era stata chiesta al Pontefice per festeggiare i 50 anni della FISC (Federazione Italiana Settimanali Cattolici) ma poi “inglobata” nel calendario del Giubileo e celebrata dunque in Piazza San Pietro con il “popolo”. Un’esperienza indimenticabile, vissuta accanto ad un Papa che testimonia con i gesti le parole e ci ha ridestato, ci ha scosso, ci inquieta e ci interroga continuamente. Bergoglio ha rivoluzionato anche il nostro lavoro costringendoci ad andare nelle periferie, a metterci in ascolto e a fare un giornalismo vero fatto di prossimità. Abbiamo tutti bisogno di fare silenzio, di abbandonare le parole a volte e di riprendere in mano il Vangelo. L’Esortazione Apostolica del Santo Padre Evangelii Gaudium va letta e riletta, perché il Vangelo non si trasmette con le prediche ma con i fatti. Per attrazione qualcosa di bello dona gioia, attrae e investe tutti gli ambiti della nostra vita a cominciare dal lavoro: o noi mettiamo il cuore e la passione in quello che facciamo o il nostro mestiere è finito e non ha più senso. E mai dobbiamo perdere di vista il nostro cammino: siamo chiamati ad essere pellegrini perché l’esperienza della Chiesa è un’esperienza di cammino. L’importanza della responsabilità e della formazione per una professione come la nostra è cruciale, come ha ricordato Dario Gattafoni, presidente dell’Ordine dei giornalisti delle Marche, che è intervenuto in questa terza edizione del meeting. Il primo obiettivo di un giornalista è raccontare in ogni momento la verità con umiltà e lealtà, “consumando la suola delle scarpe”, filtrando e verificando i fatti per farli diventare una notizia. E siano una guida nella nostra professione due fari sempre accesi: il rispetto tanto delle regole deontologiche quanto dell’uomo. Come ci ha ricordato Papa Francesco durante la cinquantesima giornata mondiale delle comunicazioni sociali “La comunicazione ha il potere di creare ponti, di favorire l’incontro e l’inclusione, arricchendo così la società”: e questo è un monito per tutti, non solo per noi giornalisti cattolici.