Domenica 6 marzo 2016 – IV di Quaresima
FARE FESTA INSIEME AL TAVOLO DELLA MISERICORDIA (Lc. 15, 11-32)
La parabola racconta di un padre ricco di misericordia e di due fratelli litigiosi. Il racconto resta aperto, senza conclusione.
Leggendolo sorge una domanda: la nostra cultura, in cui individui e gruppi ben definiti entro i loro confini rivendicano diritti, oltre che segnata dal declino e quindi dalla necessità di un radicale ripensamento della “figura paterna” (Recalcati), ha pure smarrito la figura del fratello?
La Rivoluzione Francese aveva già indicato e promosso il cammino della fraternità per una nuova società. Da allora ad oggi, quel cammino è stato incerto, lacunoso e difficile.
Ritornando alla parabola di Luca: i fratelli, nel racconto, non compaiono mai in scena assieme, mai si incontrano e si parlano, mai si abbracciano. Si ritrovano, nel racconto, all’ingresso della casa, uno prima e l’altro dopo. La loro mente e il loro interesse è occupato dal patrimonio della famiglia. Il più giovane ha reclamato metà degli averi paterni e li ha sperperati; il maggiore rimprovera il padre di non avergli mai dato un capretto per far festa con gli amici pur avendo sempre ubbidito e lavorato.
Il padre, pieno di compassione e misericordia, ha usato e usa con quei due figli la pedagogia della libertà; li ha messi e li mette nella situazione di scegliere: attende e va incontro al figlio perduto, supplica il maggiore a partecipare alla festa.
Egli ritiene il far festa insieme come il migliore intervento educativo per celebrare, con entrambi, la figliolanza, la fraternità e il ritorno alla vita. Il far festa insieme restituirebbe, a quanti partecipano, la dignità perduta o oscurata dal rancore e metterebbe in atto la fraternità, valorizzando la diversità degli indirizzi di vita e delle scelte.
La diversità di esperienze, celebrata nel far festa, genera vita e futuro allora come oggi. La festa è uno scambio reciproco di doni, un intreccio di relazioni nel segno della gratuità. La festa non promuove interessi di patrimonio, perché mette in atto un’offerta gratuita di beni.
Perché però ciascuno possa partecipare alla festa, riattivando la fraternità, occorre che ciascuno abbia la chiara coscienza del suo “stare nel mondo”. All’origine del nostro vivere e del nostro stare nel mondo vi è l’accoglienza: tutti siamo “figli di” e quel “di” ci qualifica. Qualcuno ci ha pensati, amati, dati a noi stessi. Non siamo uno accanto all’altro come funghi nel bosco, ma come rami di un albero. L’origine a la nascita ci qualificano come “essere di dono”. All’origine c’è l’esperienza, cosciente o no, di aver ricevuto e di essere stati accolti.
Chi ci sta accanto ha ciò che io non ho e lo offre, lui a me e io a lui, come la meraviglia dei molti colori in un’aiuola di primavera. Folle sarebbe la viola che dice alla primula: “io non ti voglio, basta la mia corolla per fare l’aiuola!”.
L’accoglienza fonda la fraternità, che a sua volta fonda la convivenza civile e pacifica, il nostro star bene nel mondo.
I due si sono poi seduti insieme al padre al tavolo della misericordia ritornando fratelli?
Don Renzo