ETTY HILLESUM, TESTIMONE DI DIO NELL’ABISSO DEL MALE
DAVIDE GHEZZO, 27.05.2013
TORINO – Il dramma cosmico della Shoah, nonostante le disamine già effettuate sotto qualsivoglia punto di vista, è in grado di fornire ancor oggi – a distanza di quasi settant’anni – testimonianze inattese, che emergono dai meandri della dolorosa quotidianità dei campi di sterminio, e che sono destinate anch’esse a essere fissate a futura memoria, non diversamente dai testi di Primo Levi e Anna Frank.
Una grande vicenda di coraggio, fede e condivisione: è questa la cifra riassuntiva che emerge dalle pagine di “Etty Hillesum: testimone di Dio nell’abisso del male” (pagg. 215, euro 15,50, edito da Paoline). Ives Bériault, religioso domenicano, teologo e psicologo, è l’autore di questa analisi della storia e della personalità di Etty Hillesum, ebrea olandese autrice di un diario, costituito da undici quaderni e settanta lettere, scritto negli anni più terribili della Shoah (1941-1943).
La monografia di Bériault mette in risalto lo spiritualismo acceso ma anche il complessivo spessore psicologico di una testimonianza che ha ispirato film e pièces teatrali, e che Elisabeth O’ Connor ha definito “il documento spirituale più significativo della nostra epoca”.
Nata nel 1914 da genitori ebrei poco praticanti, Etty si fidanza, studia diritto, e appare pienamente inserita negli ambienti intellettuali di Amsterdam. Ma la sua vita sarà destabilizzata, oltre che dalla guerra, dall’incontro con Julius Spier, uno psicologo e chirologo tedesco rifugiato in Olanda, molto più anziano di lei. E’ il 3 febbraio 1941; la sera stessa Etty inizia la stesura del diario. Di Spier diventerà segretaria, redattrice dei rapporti di analisi, ma più ancora confidente, anima gemella e, occasionalmente, amante.
L’intellettuale tedesco, da cui la ragazza era affascinata e turbata, diventa una guida nel cammino verso Dio e la Sacra scrittura – nel suo lavoro di psicoterapeuta egli usava leggere ai pazienti pagine della Bibbia. Spier muore nel ’42, ma Etty guarda ormai oltre, verso la consapevolezza del divino che cresce dentro di lei. Scrive nel diario: “Mi hai insegnato a pronunciare il nome di Dio senza vergogna. Hai fatto da mediatore tra Dio e me, ma adesso tu, il mediatore, ti sei ritirato e il mio cammino porta direttamente a Dio.”
Di lì a poco (siamo a fine ’42) arriva, per Etty e per la sua famiglia, il trasferimento a Westerbork, il campo di detenzione degli ebrei olandesi, premessa alla fatale partenza verso est. E’ qui che Etty, posta di fronte alla sofferenza e alla malattia, ai soprusi e alle atrocità dei nazisti, profonde tutte le sue forze nel sostegno, materiale e psicologico, ai più deboli, con un coraggio e una determinazione che molti definiranno ‘sovrumana’. La fede religiosa, quell’intima certezza che la spinge a inginocchiarsi nell’ascolto delle voci interiori – la dicotomia ebraismo-cristianesimo sembra ormai perdere di importanza – le ispira un amore universale, rivolto a Dio come al più fragile dei compagni di sventura; e nello stesso tempo non riesce a odiare gli oppressori. “Lasciatemi essere il cuore pensante di questa baracca”, afferma. Si consolida in lei la volontà di condividere il destino del suo popolo, quel destino ch’ella intuisce nei ‘treni merci’ che caricano gli ebrei verso una destinazione solo in apparenza misteriosa.
Il tragico appuntamento con la storia non è lontano. Il 7 settembre 1943 Etty è deportata, con la famiglia, al campo di Auschwitz. Un ultimo suo biglietto, scritto sul treno, giungerà miracolosamente ad amici rimasti in libertà. Secondo le stime della Croce Rossa olandese, Etty Hillesum sarà condotta alla camera a gas il 30 novembre di quell’anno.