EFFATA’ … APRITI!

Episodio curioso (Mc. 7, 31-37), raccontato con benevolenza. Un pover uomo sordo e balbuziente è portato davanti al Rabbi Gesù, durante una sosta del suo viaggio dal territorio di Tiro verso la Galilea, mentre attraversa il territorio della Decapoli in terra pagana. Gesù lo accoglie e concentra su di lui attenzione e cura; prova intensa compassione per quell’uomo afflitto da menomazione e disagio. Fa sua quella sofferenza che sommuove tutto il mondo dei suoi affetti e delle azioni. Gesù lo porta in disparte per non aumentare il disagio, gli mette le dita negli orecchi e la sua saliva su quella lingua: un gesto audace simile ad un bacio. Come non ricordare il bacio di Francesco al lebbroso?

Con le sue mani agisce su quel corpo, incurante di ogni immunità e del giudizio sfavorevole, semmai i suoi gesti fossero visti dai discepoli. Questi gesti denotano grande confidenza e condivisione. Intanto Gesù guarda il cielo e emette un “gemito”. Patisce quella sofferenza e invoca. Abbiamo ancora nelle orecchie e davanti agli occhi il gemito udito il 14 agosto dall’uomo che vede cadere il ponte di Genova: “…Dio mio! Dio mio!”. Quando la sofferenza pervade tutta la persona, il gemito è invocazione spontanea. Avverrà per Gesù stesso anche sulla Croce.

Dopo il gemito la parola: “Effatà … Apriti!”: spontanea, decisiva, invito e comando, parola creativa: “Apriti … apri fratello orecchi, occhi, intelligenza, cuore; apriti a colloquio con quanti ti stanno attorno .. apriti al mondo … apriti alla vita.” Il pover uomo riacquista udito e parola scolta.

Il commento: “Ha fatto bene ogni cosa!”. La stessa parola – “ed era cosa buona” – del Dio Creatore dopo aver gridato luce all’inizio del mondo. 

Il racconto ha grande valenza simbolica, allora come oggi.

Quella Parola “apriti” attraversa i secoli ed è rivolta a tutti, a noi tutti: parola che arriva attraverso la Scrittura, parola creativa, parola di Dio e anche nostra. La parola quando conserva la sua profonda identità è sempre creativa; sia che inviti, annunci o commenti, essa indica un percorso e avvia un processo sempre, dichiara speranza e consola. La parola è parola quando comunica un bene. Se invece fa del male e ferisce coscienza e cuore, essa diventa parola cattiva e perde la sua dignità; diventa falsa. La parola che perde il suo logos, il suo progetto vitale, è parola disumana e disumanizzante.

Apriti è stata la parola a noi rivolta nel giorno del Battesimo, che sempre risuona, ogni volta che tracciamo sul nostro corpo il segno della croce. E’ parola rivolta al “tutto di noi chi siamo”, a spirito e corpo per il dialogo e l’incontro dei corpi con la loro storia.

Udita e accolta oggi in questa assemblea eucaristica, “apriti” è invito/comando a “riattivare la diaconia del logos” (E. Bianchi), a riattivare il “servizio della Parola”. Se essa è ascoltata con amore, essa ancora va riannunciata: “…andate in tutto il mondo, annunciate il Vangelo a tutte le creature”. 

La nostra assemblea è pure luogo e spazio della cura di ogni parola di vita. La cura è l’azione che promuove e fa crescere la vita. I genitori, in quanto generatori, quando chiamano per nome i figli e parlano loro del vivere, del futuro, hanno cura di loro. La cura va estesa ad ogni vivente e ad ogni cosa. E’ il primo comando dato da Dio all’uomo fresco di fattura: “crescete, riempite la terra, custoditela”. 

La Parola di Dio e degli uomini a noi rivolta e da noi comunicata ad altri, avvia un percorso: la comunicazione promuove condivisione, la condivisione il convivere nel bene. Ogni uomo è a rischio di solitudine, ma non è fatto per vivere separato nella solitudine: la sua vocazione è la comunione.

Venerdì 7 settembre è stata resa nota una ricerca fatta dall’Università americana di Harvard su “una ricetta per una felicità possibile”. Essa non comprende i soldi, il successo, l’essere sempre in prima pagina, ma la ricchezza e la comunione dei rapporti umani, cioè lo strare benevolmente insieme.

E… sì, ascoltiamolo l’invito: apriti … detto a noi e ridetto da noi a quanti ci stanno accanto: quel che avviene nel cuore si specchia sul nostro volto e nella nostra parola.

don Renzo

Ivrea, 9 settembre 2018