ADRIANO OLIVETTI RIVIVE CON “LE EDIZIONI DI COMUNITA’”

La casa editrice riprende la sua attività con “Humana Civilitas”, collana nata per diffondere il verbo del noto fondatore

ALESSANDRA LEO, 21.02.2013

La copertina di una delle opereIVREA – È rinata dalle sue ceneri “Le Edizioni di Comunità” (www.edizionidicomunita.it), casa editrice fondata dall’ingegnere imprenditore eporediese Adriano Olivetti nel 1946 per contribuire alla ripresa morale e culturale dell’Italia del dopoguerra. Dopo un periodo di inattività, nel 2012 “Le Edizioni di Comunità”  riprendono vita con la collana dal titolo “Humana Civilitas” composta da ben cinque pubblicazioni –Ai Lavoratori, Democrazia senza partiti, Il cammino delle Comunità, Dovete conoscere i fini del vostro lavoro, Noi sogniamo il silenzio– che raccolgono gli illuminati discorsi del fondatore sulla finalità dell’Industria, non solo intesa come produttrice di beni materiali, ma anche di valori.

«Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi soltanto nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?»  queste sono le domande a cui risponde la prima opera “Ai Lavoratori”, edita  nel novembre 2012. In essa si trovano le parole di  Adriano Olivetti, più che mai attuali, rivolte ai lavoratori nell’anno 1955.

Sono due discorsi tenuti dall’ingegnere da cui si evince la mission stessa dell’azienda Olivetti che si prefigge di colmare il divario economico tra Nord e Sud attraverso un nuovo modello di impresa super partes, fortemente orientata a valorizzare le risorse umane. Gli utili non si trasformano in spropositati compensi per azionisti e dirigenti  ma anzi vengono impiegati a beneficio degli stessi lavoratori, legati così da valori morali e civili all’impresa stessa. Da questo binomio nasce il concetto di risarcimento, termine ricorrente e più volte analizzato negli scritti di Olivetti. I lavoratori, infatti, traggono vantaggi dall’impresa la quale è tenuta a fornire loro i mezzi di produzione e il salario necessario per procurarsi “pane, vino e casa”. D’altro canto, l’impresa contrae comunque un debito da risarcire al lavoratore, per le capacità personali che sfrutta, per gli oneri che a causa dei ritmi serrati richiesti questo scarica sulla famiglia. Ecco perché il risarcimento non può, non deve, essere solo di natura economica: magnifiche architetture, una crescente occupazione e buona qualità del lavoro sono prerogative del lavoratore e dovere per questo innovativo concetto di impresa.

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