SANTI PECCATORI NELLA RUBRICA CURATA DA MONSIGNOR PERADOTTO
Storie di conversioni alla fede
NICOLE ZANCANELLA, AGOSTO 2001
Sebbene il titolo possa sembrare un ossimoro, questo è l’argomento della rubrica curata da monsignor Franco Peradotto su “Vita Pastorale”, un mensile pubblicato dai Paolini insieme al più noto Famiglia Cristiana. Peradotto, che tra l’altro è stato il primo giornalista professionista del Piemonte, sceglie un tema nuovo e curioso. Invece di limitarsi a narrare la vita di santi illustri, si dedica a persone che iniziarono la loro folgorante “carriera” come semplici peccatori: l’ascesa spirituale non fu quindi immediata ma preceduta da numerose tribolazioni, problemi più o meno gravi che oggi sono di grande attualità, come la convivenza more uxorio o l’alcolismo.
Margherita per esempio era una donna bella e affascinante, piena di vita e voglia di amare. A diciotto anni iniziò la sua convivenza nel castello di Montepulciano (Siena) col signore Raniero Del Pecora da cui ebbe un figlio senza essere sposata, cosa allora ritenuta inammissibile anche se, come riporta la biografa Simonetta Pagnotti, il legame fu legittimato civilmente davanti ad un notaio dopo poco più di un anno.
La sua però non fu una vita serena: proveniente da un ceto sociale più basso di quello del compagno, Margherita amava abiti, monili e gioielli e per questo era ritenuta una parvenue dalle signore di Montepulciano. La sua conversione fu repentina: una sera Raniero non rincasò e lei, passata tutta la notte a cercarlo, lo trovò riverso sotto a un albero. Da allora tutto l’amore che aveva posto nelle cose terrene prese una diversa direzione, tanto che fu definita “nuovo sole”.
Altrettanto faticosa fu la conversione di Monica, che fin da piccola fu affidata ad una vecchia nutrice, saggia e severa. La ragazza, cresciuta in una casa dove si beveva vino con molta moderazione, aveva preso l’abitudine di bere di nascosto, anche se ovviamente non fino al punto da ridursi all’ubriachezza. Un giorno però si sentì chiamare proprio “ubriacona” dalla sua giovane serva durante un litigio e da allora diede un taglio deciso al suo vizio, perché il vino le piaceva davvero. Sposata poi a Patrizio, uomo infedele e violento, si mostrò sempre la più tollerante delle mogli, persino con la suocera che aveva fama di non essere una donna mite. Fu lei a convertire quindi prima se stessa, poi il marito e infine il figlio, S. Agostino, che seguendo la “tradizione familiare” aveva condotto da ragazzo una vita abbastanza turbolenta.
Un’altra vita che all’inizio di esemplare ebbe ben poco fu quella di Camillo: giovane impetuoso e ribelle, quello che oggi diremmo una testa calda o uno sbandato, amava il gioco d’azzardo, le armi, la vita randagia alla ricerca incessante di divertimento più che della gloria militarmente intesa. Nelle sue imprese belliche si procurò una ferita alla gamba che non guarì più e, pur tormentandolo per tutta la vita, gli aprì gli occhi alla conversione, avvenuta in più tappe: prima a S. Giovanni Rotondo e poi a Roma grazie a S. Filippo Neri, che gli suggerì di dedicarsi agli ammalati. Camillo iniziò a lavorare al S. Giacomo di Roma, sovraffollato ospedale in cui i degenti si trovavano in condizioni penose e avvilenti (siamo nel 1500!). Su sua iniziativa nacque l’ordine dei Ministri degli Infermi, che governò fino a quando decise di votare il resto della sua vita all’assistenza dei sofferenti.
Indipendentemente dalle intenzioni di monsignor Peradotto, quindi, ci piace pensare che in ognuna di queste vite semplici e grandi sia contenuto lo stesso messaggio: siamo esseri umani, ricchi di pregi e carichi di difetti e senza aspirare ad una potenziale santità, tutti abbiamo la possibilità di sfruttare al meglio le nostre capacità per fare del bene a chi versa in condizioni di bisogno.