IL PIACERE DELLA LETTURA DI LA NOSTRA STORIA
Un romanzo avvincente della torinese Maria Pia Simonetti
SETTEMBRE 2001
NICOLE ZANCANELLA
TORINO – Maria Pia Simonetti, 50 anni, torinese di nascita e valdostana per adozione, è un vero personaggio. Ha la voce forte e carezzevole delle nonne quando raccontano le fiabe, sguardo acuto e personalità da vendere.
La curiosità verso il suo libro di 316 pagine a £.28.000 (circa 14.50 euro, davvero ben spesi, a parer mio), mi è nata per caso alla presentazione cui ho assistito l’8 agosto a Gressoney St. Jean, organizzata dall’associazione culturale Casaliscoz, conduttrice d’eccezione “la Daria” Bignardi, che per l’occasione aveva smesso i panni della Grande Sorella ma non la disinvolta e garbata parlantina, eredità della sua esperienza radiofonica, una per tutte Radio Deejay.
La presentazione in diretta da parte dell’autrice ha miracolosamente stimolato il mio cervello imbalsamato di studentessa di giurisprudenza – è incredibile quanto tempo gli studi universitari sottraggano alla cultura personale –: l’estate è un toccasana, due mesi per recuperare i libri perduti, ma sono sempre troppo pochi. La lettura è un piacere e la fretta non consente di assaporarlo a fondo.
La nostra storia è un bellissimo romanzo, edito da Passigli, finemente copertinato in giallo-blu e l’immagine de Gli scolari (Felice Casorati) stampata sulla copertina dà l’idea di una coralità che, in effetti, permea il libro, unendo le turbolente vite dei protagonisti, ragazzi di una quinta ginnasio 1964, liceo classico torinese. La narrazione è abilmente condotta con la tecnica del flash-back. Inizia infatti nel 1993 ma torna continuamente agli anni compresi tra il ’64 e il ’68, creando un ricamo in cui si intrecciano fitti i fili del tempo.
Nel 1993 muore Filippo Jahier, uno dei 19 compagni di classe sopravvissuti al liceo e giunti alla maturità nel 1968, anno di svolte epocali. Filippo, il ragazzo che passava gli intervalli a leggere libri in lingua originale, appoggiato alla finestra del corridoio. Filippo, taciturno ma abile oratore all’occorrenza, muore di malattia a 43 anni, concludendo nel modo più triste e meno eroico la sua vita di terrorista che lo aveva battezzato col nome di Basco.
Al suo funerale accorrono le compagne di classe ed è proprio nella mente di queste quattro donne che si aprono come lampi i flash-back sul passato liceale. Colpisce l’assenza della memoria maschile. I punti di vista sono di volta in volta quelli di Giovanna, Betta, Margherita, Laura, quasi a significare che “loro”, gli uomini, non ci sono: esistono, certo e vivono l’adolescenza in uno stato di beata incoscienza, ma nel 1993 l’unico fisicamente presente è Filippo, la cui fragile esistenza sta volgendo irrimediabilmente al termine.
Accanto al suo letto d’ospedale verdeggia il philodendron di Giovanna, all’epoca “la più bella della classe”. È Giovanna, incinta di un artista inglese, ad accogliere Filippo ricercato dalla polizia fin quando lui non decide di farsi catturare. Giovanna Bollati, figlia di un padre violento e autoritario e di una madre bella e frivola che sognava di fare l’attrice di fotoromanzi, bionda stupenda ragazza, intelligente e bravissima a scuola, si accorge troppo tardi di amare Filippo e lo raggiunge quando il suo corpo di ex-terrorista giace piccolo e trasparente in una camera mortuaria.
Betta Scòzzari (non Scozzàri, come soleva apostrofarla l’insegnante di matematica) arriverà in tempo solo per il funerale. Di lei la Simonetti traccia un ritratto vivace: entrata al liceo in quinta ginnasio, altissima (tanto da sembrare una ripetente nonostante avesse fatto la primina), capelli lunghi e neri, si merita per la sua indole di “difensore degli oppressi” l’epico e storico soprannome di Bradamante la Pasionaria (pasionaria come la rivoluzionaria spagnola Dolores Ibarruri). Per il suo temperamento da maschiaccio potrebbe essere considerata una Jo di Piccole Donne nata nel XX secolo.
Laura Radicek, la rossa Radicek che si profondeva in scene di finti pianti e crisi isteriche per scampare le interrogazioni e infilarsi al più presto nel vicino “caffè Ghigo”, era invece una femme fatale che nel profondo soffriva per l’abbandono da parte del padre, affermato medico scappato in America per sottrarsi alla piattezza della vita coniugale. La piagnucolosa Laura sarà paradossalmente poco sessualmente intraprendente e molto idealista, tanto che finirà per consegnare la sua preziosa verginità a Luca Milano, il bellone della classe, suo futuro marito che nemmeno da adulto rinuncerà alla fede nella ferrea logica che “l’omo è omo” e come tale non deve farsi scappare un esemplare del gentil sesso capitato, per sventura o per sorte, nel suo raggio di azione.
Infine Margherita, medico endocrinologo che vive al Sud con Ermanno, suo compagno. Amica di tutti, raccoglie pazientemente le poche lettere inviatele dagli amici e scrive scrive scrive, senza dimenticarsi mai un compleanno e senza sottrarsi al sacro vincolo dell’amicizia che l’aveva ricondotta a Torino, già prima della morte di Filippo, per sostenere Laura dopo un intervento di mastectomia che l’aveva gettata nello sconforto e nella paura costante della morte.
Attorno agli attori principali ruotano in una visione quasi caleidoscopica personaggi secondari e numerose comparse, tratteggiati in modo conciso e ironico dall’autrice che nel dipingerli si è ispirata a persone realmente esistite nella sua giovinezza, fondendo spesso tre o quattro ragazzi insieme per giungere a stilizzare una figura psicologicamente completa.
Un romanzo che ha quindi dell’autobiografico e dello storico, se con storia intendiamo lo spazio della memoria dei protagonisti. Le loro anime si svelano a poco a poco dalle pagine del libro e affascinano il lettore per il loro realismo e la spontanea freschezza che li caratterizza.