UN’ESTATE TRASCORSA IN UNA MISSIONE IN BRASILE

Elisabetta Salvalaggio, giovane universitaria di Scienze della Formazione presso l’università di Padova, ci racconta la sua prima interessante esperienza missionaria in terra brasiliana

DICEMBRE 2004

ELISABETTA SALVALAGGIO

Il mio viaggio di ritorno dal Brasile è terminato ormai il mese scorso, ma il mio problema è che da quell’aereo, forse devo ancora scendere. Continuo a ripetermi che sia plausibile il fatto di dover aspettare del tempo per riadattarmi, in fondo gli ultimi tre mesi li ho trascorsi in un mondo che, prima di allora, mi era del tutto inaspettato.

Tutto ha inizio quando nel dicembre scorso, nella mia mente ha iniziato a balenare l’idea di svolgere il mio tirocinio universitario in un paese estero, questo poi si è rafforzato nel sentire i racconti e nel vedere i volti di quei ragazzi che, tornati dalle loro esperienze passate con l’Associazione dei Padri Cavanis, avevano perso un pezzo del loro cuore in un qualche luogo sconosciuto del mondo. Ricordo ancora la loro energia, la loro forza di spirito e stento ancora a credere che ora tutto questo riesco a leggerlo anche nei miei occhi. Sono stata ospitata per tre mesi nella parrocchia Cavanis in Ortigueira, nello stato del Paranà, e per tutto questo tempo ho tessuto una rete di relazioni veramente salda con molta gente, ma soprattutto con loro, i bambini e i ragazzi della Casa da Criança.

Vi confido che quando mi hanno chiesto di scrivere questo articolo, la mia preoccupazione non è stata poca. Il problema è che è difficile racchiudere in poche righe l’accavallarsi costante di emozioni che ho vissuto. A partire dai loro sorrisi di accoglienza, dalla loro lingua inizialmente sconosciuta, dalla loro carica giornaliera messa alla prova da molte situazioni famigliari difficili, dalla loro semplicità, dalla loro purezza, dalle loro preghiere sincere, tutto in loro si è rivelato una continua sorpresa. Ricordo le mie serate, quando tutti ormai sembravano dormire, ricordo i mille interrogativi che dopo una giornata intera uscivano a ruota libera, senza però trovare risposta.

Ma perché sono venuta così lontano da casa? Ma riesco veramente a fare qualcosa per loro? Ora in Italia arrivano le risposte…ora sono certa che “missioni” di questo tipo sono da consigliare a tutti, da diffondere, soprattutto fra i più giovani. Spingermi così lontano mi ha aiutato ad osservare da vicino me stessa, i miei limiti, i miei egoismi, le mie certezze, la mia fede.

E anche se, vedendo la realtà brasiliana, sembrerebbe difficile riuscire ad ipotizzare un miglioramento a breve, penso che mai sarà possibile una trasformazione del mondo se prima non trasformiamo qualcosa in noi stessi. Quei bambini hanno aiutato la mia importante “trasformazione”, la loro fede e la loro semplicità mi sono state da esempio. Io, in cuor mio, sono convinta di aver donato qualcosa, si è donato amore e speranza, si è donato affetto e amicizia. Si sono donati momenti di allegria e di festa, ma anche momenti di serietà, in cui si è cercato di trasmettere un po’ di conoscenza. Il mio progetto universitario infatti, prevedeva la diffusione di un educazione alla mondialità che avrebbe consentito ai bambini di riuscire a relazionarsi, almeno virtualmente, con le altre culture del mondo. E loro cosa mi hanno donato? Molto più di quello che io sono riuscita a dare.

Questi doni profondi e gratuiti saranno lo stimolo maggiore nella crescita del mio spirito missionario, ancora troppo giovane. Nel libro Il cammino dell’uomo di Buber, vi è scritto: «È compito di ogni uomo conoscere bene verso quale cammino lo attrae il proprio cuore e poi scegliere quello con tutte le forze»; è proprio perché, sono convinta della verità racchiusa in queste parole, che l’anno prossimo sarò aperta ad un’altra nuova e stimolante esperienza.