UN VIAGGIO ATTRAVERSO LA SOFFERENZA E LA VOGLIA DI TORNARE A VIVERE

Protagonisti i ragazzi del Bambino Gesù, l’ospedale pediatrico più grande d’Europa

Giulia Poggio, 21.03.2017

TORINO – Aveva ragione Mariella Enoc, presidente dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, quando diceva che «Anche nei momenti più difficili è possibile lottare, è bello essere protagonisti e ce la si può fare».

Ce lo dimostrano le storie coraggiose dei giovani pazienti dell’ospedale pediatrico più importante d’Europa, al centro dell’omonimo documentario di Rai Tre, che ogni giorno lottano contro la malattia con straordinario coraggio, determinazione e dignità. Il loro messaggio, che risuona forte e chiaro, nonostante i momenti di sconforto, sofferenza e paura dell’avvenire, è che dalla malattia si può guarire. Nonostante le patologie neoplastiche siano molto frequenti infatti, soprattutto nei bambini, oggi guarire dalla malattia o convivere con essa si può. Lo dicono i numeri: grazie alla ricerca sperimentale e ai progressi sviluppati dal punto di vista terapeutico, in Italia più di 3 milioni di persone riescono oggi a guarire dalla malattia e per una considerevole percentuale di malati terminali si è sensibilmente allungata la durata della vita. La chemioterapia e il trapianto di midollo osseo rimangono un caposaldo nel trattamento delle patologie acute, mentre per le forme benigne, grazie alle moderne tecnologie, viene attuato un trattamento non aggressivo, attraverso la somministrazione di farmaci biologici.

Ma la guarigione è un miraggio lontano, perché la malattia influisce necessariamente sulla qualità della vita, sui normali rapporti domestici e sull’equilibrio psicofisico del malato. Tutto ciò viene ulteriormente amplificato quando la malattia colpisce i più piccoli, perché spesso tenuti all’oscuro delle loro reali condizioni e talvolta incapaci di esprimere e quantificare la sofferenza, generando così uno spiacevole senso di impotenza ed angoscia nei familiari, che si trovano improvvisamente travolti da una situazione non facile da gestire.

Ecco perché, nel caso di bambino malato di tumore, è necessario costruire un percorso terapeutico particolare, che includa strumenti e personale adatti a soddisfare di volta in volta le varie necessità del paziente. Naturalmente, affinché tale percorso possa avere successo è fondamentale la totale collaborazione dei soggetti coinvolti, quali infermieri, staff medico, volontari, familiari, nonché un atteggiamento positivo da parte del piccolo malato.

Ce lo insegna benissimo Giulia, 15 anni, affetta da leucemia mieloide acuta, ricoverata ormai da molte settimane e sottoposta ad alcuni cicli di chemioterapia, in attesa che la sua malattia regredisca per poter procedere al trapianto di midollo. Nonostante la sua difficile condizione, che prevede possibilità di guarigione inferiori rispetto agli altri ragazzi ricoverati al Bambino Gesù, la ragazza messinese non smette mai di sorridere. «Giulia non sta mai male– dice la mamma – quando le si chiede come sta, lei dice sempre che sta bene, in qualsiasi situazione. È come se non avesse capito di essere malata, perché affronta qualsiasi situazione senza lasciarsi abbattere».

E lei stessa, con una maturità e una forza d’animo fuori dal comune ribadisce: «La vita è fatta di salite e discese. Questa è una salita che ho fatto tranquillamente. È stata una sfida dall’inizio e mi sono sempre detta: o la supero o la supero».

Graduale ritorno alla normalità anche per Roberto, 18 anni, affetto da leucemia linfoblastica acuta, dopo aver superato brillantemente l’intervento. Nonostante il percorso difficile, che provoca la perdita di controllo su qualsiasi aspetto della propria vita e impedisce al paziente di compiere scelte in autonomia, dovendo necessariamente appoggiarsi e fidarsi di altri, il ragazzo friulano dimostra una solidità e un coraggio da manuale. «So che prima o poi tornerò a fare tutto come prima, non so quando però», racconta alle telecamere, preparandosi al tanto atteso ritorno a Trieste.

Non meno coraggiosa la storia di Caterina, 15anni e affetta da nefronoftisi cronica, reduce dal trapianto di rene donato dalla mamma Marilina, necessario per garantire alla figlia una buona percentuale di possibilità di sopravvivenza. La tensione e la preoccupazione iniziale, soprattutto da parte del papà costretto ad aspettare fuori dalla sala operatoria le “donne più importanti della sua vita”, come le chiama lui, lasciano gradualmente il posto alla tranquillità e alla gioia di aver superato l’intervento. E l’unica frivola preoccupazione in questo momento è organizzare il ritorno a casa, dove Caterina, accolta da tutta la famiglia, potrà finalmente tornare ad avere una vita normale, dopo aver affrontato con grande determinazione una drammatica situazione che le ha cambiato la vita. «Sono esperienze che ti abbattono – dichiara mamma Marilina – ricadi, poi ti rialzi e ti ritrovi più forte di prima». La malattia infatti, soprattutto se colpisce un bambino, cambia radicalmente la sua visione della vita e provoca in lui l’insorgere di valori, solidità e fermezza mentale nettamente superiori rispetto ai coetanei che non hanno vissuto in prima persona la sofferenza e la paura del domani.

«La realtà, in se stessa, non ha un significato univoco – avverte Papa Francesco in occasione della 51° Giornata mondiale per le comunicazioni socialitutto dipende dallo sguardo con cui viene colta, dagli “occhiali” con cui scegliamo di guardarla: cambiando le lenti, anche la realtà appare diversa». E richiamando le parole del pontefice, Monsignor Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede chiosa: «La sfida alla malattia è aperta. Una sfida che è iniziata da un sorriso, da quando l’abbiamo guardata non solo con tremore, ma anche con possibilità, quella di poterla battere».