I PRIMI DICIOTTO MESI DEL JOBS ACT
Una rilettura in chiave storico-politica
SILVIA GAMBA, 01.11.2016
TORINO – Un’interessante tavola rotonda sul tema L‘impatto del Jobs Act in Italia e in Piemonte si è svolta recentemente al Polo del ‘900, nuovissimo centro culturale sempre aperto al pubblico. Gianfranco Zabaldano, presidente della Fondazione Vera Nocentini, apre l’incontro con una breve introduzione sulla riforma del mercato del lavoro. La parola viene quindi data a Filomena Greco, giornalista de “Il Sole24 Ore” e moderatrice del dibattito.
Il primo intervento di Giorgio Vernoni, ricercatore (Laboratorio Riccardo Revelli-Centre for Employment Studies), presenta la situazione lavorativa del Piemonte a seguito del jobs act e degli sgravi contributivi, in atto dal 2015, attraverso le statistiche raccolte in questi ultimi mesi. Si evince che le due distinte riforme, sebbene mirino entrambe a risolvere la situazione del mercato del lavoro italiano, hanno conseguenze differenti. Gli sgravi fiscali, nel 2015, primo anno di applicazione della riforma, producono ottimi risultati. Le assunzioni a tempo indeterminato e determinato aumentano, mentre diminuiscono i contratti di apprendistato. Tuttavia, la curva che segnalava l’aumento dell’occupazione del 2015, mostra una leggera flessione nel 2016, anno in cui gli sgravi sono meno incentivanti e sollevano solo parzialmente, per un 60%, il datore di lavoro dal versamento contributivo. Nonostante ciò, il numero degli occupati è superiore rispetto a quelli del 2014 e del 2013. Lo sguardo si sposta, in seguito, sui licenziamenti, anch’essi aumentati dal 2015. Le motivazioni addotte sono due: da un lato un comportamento opportunistico dei datori di lavoro che, licenziando i dipendenti del vecchio regime, beneficiano degli sgravi in favore delle nuove assunzioni; dall’altro una maggiore dinamicità del mercato.
Alla domanda “La maggiore flessibilità che si ottiene a seguito del Jobs Act significa davvero più lavoro e lavoro di qualità migliore?” risponde Fiorella Lunardon dell’Università di Torino. «É necessario– afferma la docente di diritto del Lavoro – non attribuire meriti ingiustificati e individuare le effettive fonti da cui scaturiscono i risultati positivi. Tralasciando gli sgravi, che, essendo provvedimenti di breve durata, non possono costruire una soluzione e andando ad analizzare il Jobs Act, che si propone, invece, come un progetto a lungo termine,- a detta di Lunardon – si evince che il provvedimento non ha introdotto nessuna novità. Il Jobs Act ha semplicemente portato a compimento dei processi di flessibilità che erano iniziati da anni». Ne risulta che il merito del “Jobs”, normativamente, è stato chiarificare e semplificare ciò che precedentemente era già in atto o era stato introdotto dalla riforma del lavoro del 2011.
Secondo Giuseppe Gherzi, direttore dell’Unione Industriale di Torino, «questo sistema crolla se non si introducono politiche attive». Oltre al problema reale della disoccupazione giovanile, evidenzia l’invecchiamento dell’età media dei lavoratori che richiede l’attuazione di interventi volti a formare il personale al di sopra dei cinquant’anni, perché non è più l’età prossima alla pensione. Afferma quindi: «Se le innovazioni non arrivano più dai giovani, che dovrebbero portare nelle aziende una visione fresca e rivoluzionaria, ma non possono farlo per la mancata assunzione, è necessario che gli occupati, qualsiasi sia la loro età, siano formati in modo tale da essere a contatto con l’attualità quanto gli “under trenta”».
Impetuoso è , infine, l’intervento del segretario generale Cisl di Torino, Domenico Lo Bianco: «lo Stato dovrebbe attuare una politica industriale, per poter creare quel lavoro che tanto manca in Italia e che crea la disoccupazione. Senza la politica attiva, il rischio è che licenziare diventi più agevole che assumere, creando problemi ancora maggiori». Parla poi dell’ingente numero di voucher utilizzati, un metodo di pagamento che, istituito per ridurre il problema del “nero”, è diventato una prassi. E Fiorella Lunardon chiosa: «è necessario che i voucher non vengano utilizzati in modo improprio, poiché essi non creano lavoro».