ETICA E FOTOGIORNALISMO

Raccontare la realtà attraverso le immagini

Benedetta Grendene, 12.10.2016

ASSISI – Durante la Scuola di formazione proposta dall’UCSI che si è svolta ad Assisi dal 7 al 9 ottobre si è parlato anche di Etica e fotogiornalismo grazie all’intervento del fotoreporter Francesco Zizola, che ha voluto condividere la sua impostazione etica nel fare giornalismo anche attraverso le immagini.

Francesco, che per i suoi scatti è conosciuto a livello internazionale ed è stato insignito di una miriade di premi fotografici tra cui il prestigioso World Press Photo of the Year 1996, è figlio del vaticanista Giancarlo Zizola, a cui è intitolata la Scuola. Dopo tanti anni a Fiuggi, non è casuale che per la prima volta la scelta della location per un appuntamento annuale così importante per i giornalisti cattolici sia ricaduta proprio su Assisi. Alla fine di settembre, la città umbra ha accolto Papa Francesco e più di cinquecentoleader religiosi provenienti da tutto il mondo, per l’incontro ecumenico “Sete di Pace: Religioni e culture in dialogo” e un sottile fil rouge lega misteriosamente a questo luogo il destino di Giancarlo, giornalista molto stimato da tutti i colleghi, anche da quelli laici. Giancarlo Zizola ha dedicato tutta la sua professione alla vita della Chiesa, uscendo di scena solo cinque anni fa, in punta di piedi come fanno le anime grandi, per un malore improvviso che lo ha colto proprio mentre si trovava a Monaco di Baviera per seguire un grande meeting interreligioso organizzato dalla Comunità di S. Egidio, promotrice anche del recentissimo meeting assisano.

Maurizio Di Schino, giornalista inviato di TV2000, ha voluto introdurre la testimonianza di Francesco Zizola, tratteggiando il ricordo di un’esperienza di viaggio vissuta accanto all’amicofotoreporter nel carcere di Palmasola in Bolivia, che gli ha permesso di toccare con mano come sia possibile avvicinarsi al mondo degli ultimi nelle periferie esistenziali del mondo, con un carico di umanità e di sensibilità che un giornalista o un fotoreporter mai dovrebbero dimenticare. Il fotografo ha il dovere di farsi testimone del tempo, con una grande aderenza alla realtà per restituire una narrazione veritiera, in virtù del forte potere comunicativo che l’immagine evoca e porta con sé. Francesco Zizola l’uomo lo conosce bene non certo per una laurea in antropologia in tasca, ma per questo suo continuo “farsi prossimo” che lo spinge a fotografare la realtà nel rispetto della dignità di chi incontra. E’ questa, a suo avviso, una delle regole fondanti per una comunicazione credibile: le immagini giornalistiche, non quelle pubblicitarie che sono “costruite” per definizione, hanno insito in sé un carico di responsabilità che chi le scatta deve avere e che restituisca al soggetto rappresentato tutto quel Mistero che l’uomo è. Violare i codici etici attraverso la fotografia, magari manipolando le immagini, è dunque ancora più grave perché la foto porta con sé unquid di relazione implicita e di connessione con la realtà, che non può essere modificata, ma solo documentata attraverso scatti, che raccontino la Verità in modo responsabile. In the same boat”: è questo il titolo del fotoreportage che Francesco Zizola ha mostrato alla platea di giornalisti, realizzato nell’agosto 2015 dopo aver trascorso tre settimane a bordo della Bourbon Argos, la nave messa a disposizione da Medici Senza Frontiere come un grande salvagente nel Mediterraneo durante la missione Search and Rescue. Bastano tre minuti per scuoterci: immagini, suoni, voci, respiri per raccontare il salvataggio di più di tremila migranti, esseri umani come noi.

Anche Renzo Di Renzo, intellettuale poliedrico, eclettico e multitasking che oggi è direttore creativo di HEADS Collective, ha sottolineato come l’immagine possa aprire una dimensione conoscitiva pluridimensionale. Quando nel 2000 ha assunto la direzione editoriale di “Colors Magazine”, la rivista fondata nel 1991 dal fotografo Oliviero Toscani, ha scelto di dare spazio ad un nuovo modo di fare giornalismo, dedicando il primo numero ad un campo profughi in Tanzania. Per quattro settimane una squadra di giornalisti e di fotografi si è trasferita “in un altro mondo”: nelle prime due settimane nessuno scatto, nessuna parola scritta, ma c’è stato spazio solo per due modalità di approccio alla realtà, intimamente connesse tra loro: “Vedere” e “Comprendere”. “Vedere” – “To sea” significa “vedere qualcosa” per “guardarsi dentro” e per “capire”: i giornalisti e i fotografi di “Colors Magazine” hanno dunque cercato una familiarità, hanno vissuto un’esperienza prima di raccontarla. Quel primo “esperimento” è riuscito ed è continuato con un numero su un manicomio, poi su un carcere e sui tanti microcosmi “dimenticati” che dietro a “foto scioccanti”, nascondono “realtà scioccanti” che in molti non vedono o si rifiutano di vedere. Questo “giornalismo di prossimità”, a cui ci chiama anche il Santo Padre, può aiutarci a vedere al di là delle apparenze in un tempo di buio dominato dalla “globalizzazione dell’indifferenza”. Allora persino un libro potrà essere un’epifania di vero, di buono e di bello nella nostra vita, indicandoci la strada giusta da seguire. Così sarà un incontro di anime la lettura di “Due Destini” il romanzo che Renzo Di Renzo ha pubblicato nel 2008 con Einaudi Ragazzi, sconfinando tra codici comunicativi differenti per raccontare la storia di un bambino e di una bambina nati nello stesso giorno ma in due terre diverse, lontane e abbandonate a due destini paralleli che si incroceranno. Affidiamo alle parole di Erri De Luca tutta la profondità di un libro che vale la pena far leggere ai nostri bambini per aprire loro orizzonti nuovi e sconfinati che vadano al di là delle diversità: Due rette parallele non s’incontrano mai. Questa tristezza della geometria non si applica alla vita. Due vite parallele si possono incontrare e scambiarsi il soccorso, l’affetto, la salvezza…”. In fondo se ci pensiamo bene, nascere in Africa o in Italia e’ solo una “lotteria”, un destino che nasconde un disegno su ognuno di noi, chiamati ad avere uno sguardo rivolto all’inesorabile positività del reale.

Guardare la realtà dalla parte degli esclusi è una missione ben chiara alla onlus Medici con l’Africa Cuamm, che dal 1950 opera al servizio delle popolazioni africane in Angola, Etiopia, Mozambico, Tanzania, Uganda, Sud Sudan e Sierra Leone. La ginecologa toscana dott.ssa Rossella Peruzzi è arrivata ad Assisi per raccontare, di fronte alla platea dei giornalisti presenti, il suo impegno nel progetto “Prima le mamme e i bambini” sostenuto dal Cuamm per accogliere, aiutare e stringere una relazione con le donne partorienti, accompagnandole nel difficile e delicato momento del parto. Il Cuamm e i suoi volontari lavorano a livello di presa di coscienza della donna africana incinta, con campagne di aiuto e di sensibilizzazione che ad oggi hanno letteralmente “dato vita” a ben 134.000 parti assistiti. Ogni due minuti in Africa muore una donna di parto, per le complicanze più banali, pur di non rischiare di affrontare la giungla per andare a partorire nell’ospedale più vicino. Forse questo dato non fa notizia, non fa presa nel cuore di noi occidentali che spesso con una vena di pietismo veniamo a conoscenza di queste emergenze, che sono condizioni quotidiane da affrontare per un popolo ancora pieno di dignità a cui tutti noi dovremmo guardare con ammirazione e con rispetto.