PERCHE’ LA MIA GIOIA SIA IN VOI E LA VOSTRA GIOIA SIA PIENA

L’arte di amare

Nel testo letto, Gv. 15, 9-17, Gesù racconta l’amore per “i suoi discepoli”, tutti i cristiani sono suoi discepoli. Per noi canavesani quel “i suoi” ha un significato particolare. A Barone, come in tutto il Canavese, “ai soo” (i suoi) indica le persone di famiglia e i più vicini, quelli con cui tutto si condivide.

Scelgo dal racconto quattro espressioni che sono come l’ordito della trama dell’intero tessuto del racconto:

– come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi, rimanete nel mio amore;

– se osserverete i comandamenti, rimarrete nel mio amore;

– questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni e gli altri, come io vi ho amato;

– perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

Sono espressioni che nel racconto disegnano “l’arte di amare”. Sò di rubare il disegno a E. Fromm a cui rubo anche la proposta: poter e saper amare è arte, cioè l’insieme di dote ed esercizio.

L’arte si impara seguendo la disposizione – attitudine. Valga, come esempio di paragone, l’opera musicale forse più bella del mondo, quella di Mozart. A sette anni compone il primo concerto dimostrando un’attitudine per la musica unica; ma quanto esercizio, di giorno e di notte, da quell’età fino alla composizione del Requiem, interrotto sul letto di morte.

Riprendo dunque dal racconto alcune direttive che disegnano l’arte di amare.

L’amore si radica nell’essere amati: “Come il Padre ha amato me, io ho amato voi…”; solo la coscienza di essere amati permette il rischio e la volontà di donare se stessi nell’amore. Chi ama in verità “osserva” le parole e il volto dell’amato. Osserva, cioè ascolta, scruta, interiorizza parola e volto e mette in pratica quella ricchezza di vita diversa che gli viene offerta. “Quello che tu sei, diventa mio”, può dire in verità chi ama. “Una persona è una persona solo attraverso un’altra persona” (D. Tutu). Ma quanto è difficile questo “osservare”! Oggi è sommamente difficile ascoltare, dare tempo all’ascolto, senza presumere già di sapere.

Chi ama dà vita, cioè ha cura e rispetto dell’amato. La cura è arte di far crescere la vita. Basta fissare la nostra attenzione sui vasi di fiori che quasi tutti abbiamo sul davanzale: quei fiori impegnano la nostra cura. Bisogna volere loro bene!

Il rispetto è saper mantenere quel tanto di distanza dall’amato che ci permette di guardarlo e osservarlo a tutto tondo, senza appiccicare il nostro viso sul suo.

E poi c’è il dono: non c’è amore più grande che dar la vita per chi si ama. Il dono è reciproco, è lasciarsi amare e accogliere l’altro per, all’altro, donare se stessi. Ma l’altro è diverso, e, per fortuna, non è nostra fotocopia. La sua diversità arricchisce e, perché amata, diventa “ossa delle mie ossa, carne della mia carne”.

Resta da accogliere, come parola di vita, la quarta espressione: “perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. E’ commovente che Gesù si senta così uomo fino a dire che la sua più grande gioia è sentirsi amato e poter amare. Di conseguenza racconta quella gioia come la pienezza di ogni amore e come finalità del vivere, un vivere felice.

Non voglio commentare ma invocare questa gioia con la parola poetica di Verlaine:

“Aprici Signore, con la fede alla gioia,

aprici, Signore, con l’amore alla gioia,

aprici, Signore, con la speranza alla gioia”.

Che meraviglia, sono le tre virtù teologali che raccontano come siamo amati da Dio e disegnano anch’esse l’arte di amare, che aprono alla gioia!

don Renzo – 10 maggio 2015