GIORNATA DELLA MEMORIA, 70 ANNI DI STORIA PER NON DIMENTICARE
L’importanza del ricordo della sistematica e terribile inesorabilità della Shoah
KRIZIA RIBOTTA, 27.01.2015 FOTOGALLERY
TORINO – Quella dell’Olocausto è una tragedia mostruosa che va al di là di ogni logica, e in cui si è verificato il totale annientamento voluto dal sistema nazista, per mezzo di stragi e rappresaglie compiute nel nome della presunta superiorità della razza ariana.
I prigionieri erano, come spiegano gli ex deportati ormai avanti con l’età, come “bestioline lasciate in balia di se stessi”, che avevano intrapreso un viaggio di grande dolore dal quale non era possibile fare ritorno. Si trovarono così coinvolti in quell’inferno, in cui era necessario resistere: lasciarsi andare, infatti, significava morire, e nessuno era pronto per farlo.
Gli ebrei erano peggio di schiavi, non avevano neanche il diritto di sognare, di avere dei progetti per un domani che sarebbero tornati a casa, per il semplice fatto che valevano meno di zero. Fossero stati semplicemente dei prigionieri, avrebbero potuto essere liberi con il pagamento di un riscatto, invece no, non erano schiavi, erano qualcosa di peggio. Erano ebrei. E non potevano di certo scappare da quel loro status, per cui andavano semplicemente eliminati come insetti, in modo che i nazisti potessero portare a termine il loro esperimento del non-uomo.
Missione che è stata compiuta a pieni voti, lasciando solo una montagna infinita di corpi inermi di individui che, un tempo, erano stati bambini, padri, madri, uomini, donne, come testimoniato da tutti quegli oggetti che le SS avevano sottratto loro nello stesso momento in cui erano entrati nei campi. Senza ricordi, senza dignità, senza rispetto, senza nome e senza via d’uscita. Solo un numero, marchiato addosso affinché potessero ricordarsi ogni giorno dell’inutilità della loro esistenza.
Numerosi sono gli interrogativi che rimangono irrisolti ancora oggi, a distanza di più di mezzo secolo. Ad iniziare dalle condizione delle donne, in particolare quelle disperate al punto di vendere il loro corpo per riuscire ad ottenere i soldi per le sigarette da scambiare con un pezzo di pane, e quelle incinte, a causa dei continui stupri da parte dei soldati. E cosa ne è stato di quei bambini che riuscivano a nascere? Dopo essere stati strappati dai corpi privi di vita delle madri, venivano sì “graziati” , scampando così i forni, ma solo per il piacere macabro delle SS che, annoiandosi, avevano voglia di sparare ad un bersaglio che non fosse un animale.
La macchina di morte messa in piedi dalla Germania nazista si può raccontare attraverso i freddi numeri che testimoniano quante persone, solo perché scomode, siano “passate per il camino, finendo nel vento”, come ricorda la celebre canzone di Guccini. Cifre a sei zeri, mai confermate, sempre e solo tragicamente approssimative. Numeri incompleti, frammentari
“Per non dimenticare” è lo slogan istituito per il Giorno della Memoria, il 27 gennaio, perché il ricordo può fare molto. Il ricordo è attivo, porta a farsi delle domande, a cercare altrettante risposte, a documentarsi, a voler veder con i propri occhi le atrocità di una guerra ingiusta attraverso le testimonianze dei sopravvissuti, i film drammatici che hanno fatto la storia del cinema internazionale e a cercare di provare a sentire sulla propria pelle la sensazione di disagio e smarrimento degli internati nei campi di concentramento. Il tutto per rendersi conto della brutalità omicida dell’annientamento, che ha reso la Shoah unica nel suo genere e diversa da qualsiasi altra grande strage o sterminio della storia. Anche perché, come scrisse Primo Levi, “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”.
Ma non solo: che il ricordo delle vittime del più folle, ostinato ed ossessivo piano del Terzo Reich sia di lezione, perché non basta che i responsabili del più grande omicidio di massa di sempre siano stati portati davanti al tribunale degli uomini, occorre ricordare. Non solo nel Giorno della Memoria, ma sempre.
E oggi più che mai, in occasione del 70° anniversario dell’Olocausto, è necessario commemorare le ceneri di un triste passato, affinché servano d’esempio per un presente e un futuro migliore. “Io chiedo quando sarà che l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare”: parole, quelle di Guccini, che, visto anche gli attentati che si sono verificati nelle settimane scorse, non devono più restare nel vento.
Di seguito la suggestiva interpretazione della celebre poesia Se questo è un uomo di Primo Levi, ad opera dell’artista Dino Becagli, con il sottofondo musicale di John Williams, tratto dal film Schindler’s List.
URL DA YOU TUBE: https://www.youtube.com/watch?v=_M3dpL4nj3Q
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