IL PUNTO SU PAPA FRANCESCO
Lo Scandalo Della Predicazione
Editoriale di Davide Ghezzo – 15 Dicembre 2013
Si può immaginare che siano ben pochi i cristiani praticanti che non si siano sentiti toccati dalle parole pronunciate da Papa Francesco nell’omelia del venerdì a Santa Marta. Il richiamo, per non dire il rimprovero, è rivolto a tutti coloro che non risparmiano le critiche verso quei sacerdoti che assolvono il loro compito e dovere di predicare, commentando, ciascuno secondo la propria intelligenza e sensibilità, la Parola di Dio.
Molti, a forza di criticare, diventano quasi allergici alla predicazione e alle omelie, finendo a ridurre se non a cancellare la propria partecipazione alla vita cristiana associata nelle parrocchie. Perché questo atteggiamento, sottolinea il Papa, non porta ad altro che alla tristezza, finendo per chiudere le porte alla voce dello Spirito, voce che più di qualunque compagnia umana vivifica e rinnova l’uomo, gli ridà quella forza interiore che a volte si sgretola sotto i colpi della vita.
Ai giorni nostri così come al tempo di Gesù – e ancor prima all’epoca dei Profeti – la predicazione dà scandalo. Stiamo a sentire i vuoti slogan dei politici, le sciocchezze interlocutorie dei presentatori, le battute volgari dei comici, ma siamo di norma refrattari ad ascoltare le riflessioni di uomini di buona volontà che, partendo dall’autorevolezza dei testi evangelici, scandagliano nella coscienza dell’uomo d’oggi. In quella di ciascuno di noi. Non siamo disposti a vedere il dito del prete puntato in un j’accuse che mette in discussione tutta la nostra vita, ne scuote le fondamenta, e ne indica una ristrutturazione profonda. Il costo sarebbe eccessivo, l’intero ventaglio delle nostre relazioni umane – compresa quella con noi stessi – dovrebbe essere messo in discussione, rifondato e riplasmato ex novo.
Come sempre Bergoglio alimenta le sue riflessioni con supporti storici in apparenza quasi banali, ma in realtà derivanti da una profonda coscienza dei rapporti sociali e delle condizioni culturali dell’antichità. I contemporanei di Gesù, piuttosto che ascoltare la Parola, preferivano rifugiarsi nelle loro astratte elaborazioni religiose. C’erano i farisei, fissati dei precetti morali; i sadducei, inclini al compromesso politico; gli zeloti, pronti al contrario alla rivoluzione sociale; gli esseni, chiusi nella spiritualità gnostica. Per lavarsi la coscienza, tutti costoro rivolgevano ai predicatori evangelici accuse fantasiose: Giovanni Battista, che non mangia e non beve, viene tacciato di indemoniato; lo stesso Gesù, al contrario, è un mangione e un beone, che sta coi pubblicani e i peccatori.
Dunque lo scandalo della predicazione – concetto già espresso dall’onnipresente san Paolo – deriva dal fatto che non si accetta che Dio parli attraverso uomini comuni, coi loro limiti e peccati. Predica bene ma razzola male, afferma un proverbio che si attaglia all’intera gamma dell’esperienza umana, ma che nasce evidentemente per stigmatizzare la scorrettezza e l’immoralità di molti esponenti del clero, soprattutto durante il Medioevo. Ma già il filosofo pagano Seneca, che riceveva simili accuse di incoerenza, rispondeva che ne era ben consapevole, e che stava camminando verso la saggezza; ci stava provando, senza sentirsi superiore ad alcuno. Ciò che deve contare per noi è la parola, dapprima quella con la p maiuscola, poi quella di commento, analisi, rielaborazione che i sacerdoti ci offrono, strappando spesso ore al sonno per studiare – dopo aver dedicato la giornata alle varie attività pastorali.
Se ci scandalizziamo della predicazione, allora dovremmo stracciarci le vesti di fronte allo scandalo supremo, quello della Croce. Perché la suddetta Parola ci viene da un Uomo che fa la fine di un criminale, di un ladrone, come i due che lo affiancano. Uomo che porta, tuttavia, una Rivelazione superiore, tale da giustificare la Croce e anche, più di due millenni dopo, la predicazione odierna del più umile prete di barriera.