LA MAGIA DI MOSES PENDLETON
Con i suoi fantastici Momix nel caleidoscopico gioco di “Alchemy”
LAURA CAPPELLI, 10.12.2013
TORINO – È il volto di Dante Alighieri quello proiettato sul sipario ancora chiuso del teatro Alfieri? È uno squalo quello che si aggira tra i flutti simulati dell’oceano sul palcoscenico?
Il caleidoscopico gioco di “Alchemy”, l’ultimo spettacolo che i fantastici Momix portano quest’anno in scena nei teatri di Torino, d’Italia e mezzo mondo, è appena iniziato e già un brivido scuote l’attenzione degli spettatori. Il titolo d’altronde fa pensare subito a trasmutazioni, a pietre filosofali, a elisir di lunga vita, a formule dell’oro, ad antichi alchimisti medioevali che coi loro alambicchi provavano e riprovavano misteriosi esperimenti mistico-scientifici. Come se la caveranno i dieci ballerini-illusionisti di Moses Pendleton, il visionario coreografo americano che ogni anno ci incanta con la magia di una nuova spettacolare coreografia?
Quest’anno il tema prescelto, l’alchimia, è impegnativo, sospeso com’è ai limiti tra realtà e mito, tra spirito e materia, tra fantasia e scienza. Eppure Pendleton lo ha trattato con geniale leggerezza, usando tutti i trucchi dell’illusionismo e sfruttando gli effetti iperbolici di luci, ombre e trasparenze. Il corpo di danza sembra muoversi sfidando le leggi della gravità e i loro corpi appaiono davvero trasformarsi ora in fuoco, ora in acqua, ora in aria, gli elementi primordiali sui quali si basa l’alchimia. I colori più usati sono quelli primari, tipici dei passaggi alchemici, il rosso, il blu, il bianco, il giallo oro, simbolo anche di realizzazione spirituale.
Fanno da sfondo per tutti i 75 minuti dello spettacolo, disegni arabescati, radici, stratificazioni di terra e pietre, corpi femminili, cristalli e cristallizzazioni, espressi con colori sommessi e profondi, forse meno appariscenti di quelli solitamente proposti dall’esplosiva creatività di Peddlelton.
D’altronde, “Alchemy” è uno spettacolo che fa riflettere, accende i sensi ma risveglia anche la mente e l’anima. La danza acrobatica dei Momix ricorda a volte le fiamme degli inferi danteschi che purificano e bruciano le scorie residue; a volte suggerisce l’ascesi delle donne angelicate alle beatitudini del cielo, come le dame cantate dagli stilnovisti; a volte sembra suggerire antiche epopee religiose orientali dove sul campo di battaglia si svolge la battaglia senza tempo tra potenti forze contrastanti, con la definitiva vittoria del bene sopra il male.
Questa danza è sogno, è vita, è miraggio, come il perdersi in un labirinto di specchi per poi ritrovarsi tra le braccia scomode e confortanti della nostra ombra, l’essere sollevati sino all’ estasi celeste più alta per poi ripiombare a stati primordiali quasi vegetativi. Come iniziati sciamani, i ballerini evocano visioni , formule, evoluzioni e soluzioni, in una girandola che lascia senza respiro.
« “Alchemy”– spiega Moses Pendleton – è una rivisitazione moderna dell’antichissima aspirazione degli uomini saggi del passato di cercare di trasmutare il piombo in oro, la meschinità della vita quotidiana in un’esperienza sublime, la stessa materialità del corpo umano in impalpabile luminosità dell’anima». Dice di essersi ispirato alla famosa poesia “La Rosa alchemica” di William Buttler Yeats, ma non sembra dimenticare neppure il nostro Dante; anche l’interpretazione esoterica della Commedia vede nei paesaggi danteschi le tre fasi alchemiche: la discesa dell’ego dualistico, la purificazione delle scorie con il fuoco divino che trasfigura l’essere umano, la visione del paradiso con la rosa esoterica che fiorisce nell’intersecazione dei bracci della croce, simbolo ultimo di unità.
Non sembra pertanto casuale la scena finale in cui due enormi calamite si attraggono formandone una sola. Si tratta della potenza del magnetismo, nelle sue molteplici sfumature, per l’appunto, quello che perpetua il mistero della vita sul mondo e quello con cui i Momix hanno saputo ancora una volta incantare il pubblico torinese. La magia si ripete.
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