IL PUNTO SU PAPA FRANCESCO
L’impegno per la pace
Editoriale di Davide Ghezzo – 8 settembre 2013
La giornata di digiuno e preghiera per la pace in Siria indetta dal Papa, cioè sabato 7 settembre, ha visto adesioni trasversali, provenienti anche da una parte cospicua e autorevole del mondo laico; e d’altro canto non sono mancate perplessità, interne anche ai filoni di cultura e pensiero della cristianità.
Così Giuliano Ferrara, “ateo devoto”, difende la guerra giusta degli americani, rivolta contro il crimine umanitario dell’uso di armi chimiche da parte del regime di Bashir al Assad; e il sociologo cristiano Luca Diotallevi afferma che la chiesa è pacificatrice ma non pacifista, e dunque non può rifiutare a priori un uso proporzionato della forza militare, in quanto utile deterrente nei confronti dei dittatori.
Come è successo già più volte in questi mesi, la parola e l’azione di papa Francesco scuotono le coscienze, suscitando anche voci di dissenso e contrarietà che sembrano derivare più da una matrice ideologica che da semplice buonsenso e logica umana e cristiana. Il Papa che invita alla pace e al dialogo trova più d’un oppositore; figuriamoci un Papa che invitasse alla guerra e alla violenza: suonerebbe come un ritorno all’epoca delle Crociate.
In realtà l’intervento militare, americano e non, troverebbe giustificazione o perlomeno copertura giuridica nel fatto che l’esercito ‘regolare’ siriano, facendo uso – com’è sostanzialmente accertato – di armi chimiche di distruzione di massa, ha violato le convenzioni internazionali. Tuttavia persino autorevoli analisti militari USA sottolineano che un intervento mirato a colpire il potenziale dell’esercito siriano non avrebbe esiti duraturi, se non quello di scatenare infinite ritorsioni e vendette, che colpirebbero non solo le sedi diplomatiche e i cittadini statunitensi nel mondo (se non a casa loro), ma anche i paesi tradizionalmente legati alle democrazie occidentali, in primo luogo Israele.
Anche il Papa sottolinea le “divisioni profonde” e le “laceranti ferite” che si creerebbero a seguito di eventuali bombardamenti da parte degli Stati Uniti e di possibili alleati, tra cui in primo luogo sembra schierarsi la Francia. Del resto maestre in questo senso sono le vicende recenti dell’Iraq e dell’Afghanistan, paesi in cui gli americani credevano di portare pace e democrazia, mentre da un decennio non assistiamo ad altro che ad attentati contro gli occidentali e a una faida infinita tra le varie ramificazioni politico-religiose di quei popoli.
Quale la via, allora, verso un’effettiva pacificazione, non solo nella regione mediorientale, ma ovunque sorgano motivi di scontro tra differenti gruppi umani? Il pontefice un’idea in testa ce l’ha, e ne ha scritto al presidente russo Putin in vista del confronto politico ad alto livello previsto nel G 20 di San Pietroburgo. Da questa lettera emerge il concetto di una “cornice finanziaria mondiale”, ossia un insieme di organismi che sia in grado di dare una risposta seria, globale, strutturale all’emergenza umanitaria visibile a chiunque voglia vedere: il dramma della povertà, radice profonda di tutti i mali possibili, fame carestia malattia emigrazione. Al contrario la guerra, quale che ne sia la ragione e la natura, rade al suolo in un amen ogni speranza di crescita, ogni virgulto di giustizia e democrazia e libero mercato che possa allignare in terre dove questi concetti sono già storicamente difficili da applicare.
Si dirà: belle parole quelle del Papa, ma la loro concreta applicazione sembra un’utopia in un mondo dove le ragioni di parte, gli interessi, le profonde spaccature tra etnie e religioni rendono da sempre improbabile ogni tipo di dialogo e di confronto rispettoso; meglio qualche bel missile che riduca alla ragione gli sfacciati signori della guerra.
Certo vedere allo stesso tavolo Assad e i suoi oppositori jihadisti sarebbe una clamorosa sorpresa politica. E tuttavia l’orizzonte del cuore di ogni uomo non può che essere quello indicato da papa Bergoglio. Se non sogniamo la pace, se non aneliamo già per le nostre piccole vite concordia e armonia di affetti se non di intenti, e se non mettiamo le forze che ci rimangono a portare un mattone del mondo più sereno che l’uomo si merita – chiudendoci al contrario nel nostro egoismo, nel nostro particulare di borghesi più o meno benestanti – allora spiritualmente siamo già morti.