DAVVERO IL MEDIOEVO FU COSÌ CALDO?
No nell’area alpino-padana, secondo le ricerche del progetto “Archlim” presentato da Luca Mercalli e Giuseppe Sergi.
ILARIA SBURLATI – 30.04.2013
TORINO – La moderna ricerca scientifica permette a volte di sfatare luoghi comuni, di demolire certezze, di capovolgere prospettive. Una conferma a tale assunto emerge dalla conferenza dal titolo «Davvero il Medioevo fu così caldo?», organizzata dalla Società Meteorologica Italiana Onlus (Smi) in collaborazione con il Crism (Centro di ricerca sulle Istituzioni e le Società Medievali).
Si è svolta giovedì 28 marzo, presso l’Archivio di Stato di Torino e vi hanno partecipato Luca Remmert della Compagnia di San Paolo, Giuseppe Sergi, professore di Storia dell’Università degli Studi di Torino, nonché responsabile del Crism, il presidente della Smi Luca Mercalli e Maria Paola Niccoli, funzionaria dell’Archivio di Stato di Torino, in qualità di moderatore.
Scopo della conferenza era la presentazione del numero speciale della rivista «Nimbus», dedicato al progetto “Archlim”, sviluppatosi tra il 2010- 2012 e sostenuto dalla Compagnia di San Paolo. Il progetto si è voluto soffermare sullo studio delle evoluzioni climatiche in un ambito geografico circoscritto, compreso tra l’arco alpino occidentale e la Val Padana, in relazione al Basso Medioevo, ma con un excursus nell’Alto Medioevo.
Il prezioso lavoro di schedatura su fonti edite e non provenienti da descrizioni di viaggi, campagne militari, documenti notarili e altro, effettuato in collaborazione tra Crism e Smi ha permesso quindi di indagare sui fenomeni climatici in un periodo storico precedente alla raccolta dei dati meteorologici strumentali. È stata così confutata la famosa tesi riguardante “Il Medioevo caldo”, iniziata nella seconda metà dell’Ottocento e sostenuta a partire dal 1967 dal francese Lo Roi Curie.
Per i relatori, si è finora preferito un uso della storia a fini consolatori. Si è riscontrato una superficialità e una mancanza di approfondimento di molte analisi. Si preferisce infatti sorvolare sul problema del surriscaldamento globale che caratterizza gli ultimi anni, consolandosi col fatto che in passato è stata già superata una fase simile alla nostra.
Dal punto di vista storico, diverse sono le immagini che hanno costruito le fondamenta di tale pensiero: la coltivazione della vite in Inghilterra, la frequenza dei transiti alpini anche d’ inverno e il fatto che la Groenlandia fosse definita terra verde. Immagini su cui si potevano già effettuare delle obiezioni, semplicemente concentrandosi sul tipo delle culture medievali. L’economia nel medioevo non era chiusa, ma la popolazione si sforzava di produrre nelle zone limitrofe usando anche terreni non adatti, spiega lo storico Giuseppe Sergi che sui transiti racconta che quelli invernali sulle Alpi sono conosciuti ma ne viene data una descrizione paurosa. Per Sergi infatti coloro che sono passati affermano di non volerli più ripercorrere, perché hanno dovuto passare attraverso ghiacci e sulla neve. Non si transitava dunque perché i passaggi erano comodi, a conferma di un clima più mite.
Tesi successive sono state elaborate grazie allo studio dei “Conti delle Castellanie” – una documentazione di carattere notarile – nelle quali è emerso che l’idea del Medioevo caldo è dovuta alla presenza di una piccola glaciazione tra il 1400 e il 1600. Questo ha permesso di ritenere il medioevo come un “periodo tiepido”.
Nella rivista si osserva che le prove archeologiche ricavate dallo studio delle carote polari e dai resti organici nel fango e l’avvalersi da parte della climatologia storica dei valori misurati dalle stazioni meteorologiche a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, ne hanno dato conferma. Si è scoperto che la concentrazione di Co2 nell’atmosfera attuale non si era mai raggiunta prima nella storia della nostra specie a partire da 800mila anni fa. Inoltre l’aumento dei gas serra ha causato un innalzamento della temperatura di 1.5° dal 1850 al 2008. Ecco la preoccupazione per l’andamento sempre in crescita delle temperature attese per i prossimi decenni e, purtroppo, secoli.
Puntuale è la conclusione di Sergi. «Il problema di fondo non è tanto negare questi cambiamenti, ma negare, con i dati che i climatologi sono in grado di elaborare, che quelle temperature fossero dello stesso livello del riscaldamento globale attuale, che è ben altra cosa».
Inoltre, due sono le prove fondamentali per affermare l’innalzamento della temperatura: la scoperta nei ghiacci della mummia Otzy ( Similaos, 1991) e dei resti delle tribù nomadi ( 2003, Svizzera) entrambi risalenti a 5000 anni fa. Se il medioevo fosse stato veramente così caldo come si “favoleggia”, ci sarebbe stata la sparizione dei ghiacci e tali prove sarebbero state scoperte allora, non nel nostro secolo. Questo vuol dire che a partire da 5000 anni fa le temperature sono state nettamente inferiori a quelle degli ultimi 20 anni. Gli anni prima del 1400 potevano essere più caldi rispetto agli anni della piccola era glaciale; ma non tanto quanto alla fine dei nostri anni Novanta.
Il celebre meteorologo Mercalli ha affermato che «Dall’analisi dei dati di carattere quantitativo si verifica che sono maggiori le segnalazioni di freddo quasi estremo e per lo più inesistenti quelle di caldo durante il periodo medievale. Lo sguardo al futuro ci dice che se qui abbiamo variazioni dell’ordine di uno o due gradi nella storia di tutto il passato è giusto preoccuparsi quando si paventano da qui alla fine del secolo variazioni che in mancanza di provvedimenti possono essere di 6 gradi in più.»
Questa è la scoperta imbarazzante. Il tanto decantato “Medioevo caldo” risulta addirittura freddo in confronto alle attuali temperature. Sconfortanti sono le conclusioni degli studi: se non verranno presi immediatamente dei provvedimenti a favore della riduzione delle emissioni di CO2 possiamo dire addio alle piste da sci innevate dei ghiacciai e alle stazioni balneari. Tutto quanto verrà cancellato dall’innalzamento del livello degli oceani. Si prevede un metro in più entro la fine del secolo. Niente più lidi tropicali, nè le Cinque Terre.
Tutto sarà ricordato solo nei libri di storia o nella mente di noi ragazzi del nuovo millennio che racconteremo ai nostri nipoti:“Quando una volta c’era piazza San Marco”.