1917, L’ANNO CHE SEGNÒ UN SECOLO
Le rivoluzioni e il ruolo le donne tra Pietrogrado e Torino
Fabrizio Prelini, 12.03.2017
Torino – 8 marzo, giornata internazionale della donna: difficile trovare tempo e luogo più adatti per la presentazione di 1917. L’anno della rivoluzione (Laterza, 278 pagine, 18€) di Angelo D’Orsi, che ha incontrato il gremito pubblico presso la Sala 900 del Polo ‘900. Presente, insieme all’autore, docente della Facoltà di Scienze Politiche dell’università locale, Bruno Segre, presidente della federazione torinese dell’ANPPIA, lo scrittore Angelo Del Boca e Francesca Chiarotto, della rivista Historia Magistra. A moderare l’immensa portata di quegli avvenimenti viene discussa, in un lungo e vivacissimo dialogo colorato anche da momenti di aperta ilarità, Boris Bellone, segretario dell’ANPPIA cittadina.
Il convegno si è aperto con l’emozionante lettura di alcuni passaggi di Vladímir Majakóvskij da parte di due attori del Teatro Stabile di Torino: un originale espediente per calare il pubblico nell’atmosfera concitata di quei giorni del 1917 sospesi fra timori e speranze. In seguito al travagliato passaggio dal calendario giuliano al gregoriano, l’8 marzo del 1917 viene di fatto a coincidere con il 23 febbraio russo, giorno in cui le tensioni accumulatesi in seno all’impero, gravemente sconvolto dal primo conflitto mondiale, esplosero nelle manifestazioni di Pietroburgo, nelle quali ebbero un ruolo di primo piano proprio le donne.
La natura universale dei sentimenti trasmessa dalle letture si è sposata perfettamente con il tema del libro, rivelando forse meglio di ogni analisi storica l’attualità e l’universalità di quei valori, di quegli impulsi, destinati fin dall’inizio a varcare i confini russi e risuonare fino ai giorni nostri.
1917 chiude una sorta di trilogia, inziata con Guernica, 1937 e proseguita con 1989. Del come la storia è cambiata in peggio, in cui D’Orsi analizza le frenetiche e violente trasformazioni del XX secolo, imperniando la sua ricerca su alcuni dei suoi momenti più significativi. Così, dopo la guerra civile spagnola e il tradimento delle speranze dopo il crollo del Muro di Berlino, lo storico ricorda la reazione a catena messa in moto dalle donne in sciopero per le strade di Pietroburgo, su cui i cosacchi rifiutarono di sparare, disobbedendo apertamente agli ordini dello Zar e sancendo l’irreversibilità della crisi di un potere centrale già in progressivo ed esponenziale indebolimento: a una settimana di distanza appena la monarchia sarebbe crollata.
Ogni capitolo del libro si concentra su un mese e su un evento particolarmente rilevante ad esso risalente, un impianto semplice e intuitivo che ne rafforza la scorrevolezza, lodata sia da Segre che Del Boca, nonostante l’abbondante contenuto.
Il ruolo centrale delle donne, ricordato dalla dottoressa Chiarotto, non riguarda solo l’innesco delle agitazioni, ma è stato fondamentale anche in altri momenti storici successivi. Quattro giorni dopo l’abdicazione di Nicola II, quarantamila donne tornarono a protestare per il suffragio universale, e sempre il gentil sesso fu protagonista, nello stesso anno, delle proteste a Torino, portando al consolidamento di un “asse ideologico” fra il capoluogo piemontese e la Russia di Lenin.
Grande spazio è stato dedicato alla figura di Aleksandra Kollontaj, liberatasi dal giogo coniugale per farsi in prima persona portatrice di idee straordinariamente progressiste non solo in campo politico: oltre che a essere attiva fra i bolscevichi, dirigente del partito comunista e prima donna ministro al mondo, è passata alla storia come una delle principali teoriche del femminismo, forte delle sue idee sull’amore libero e sull’immagine di una donna forte, razionale e indipendente. Parlando di donne, impossibile non ricordare le due figure femminili nella vita di Lenin: la moglie Nadežda Krupskaja, grande pedagogista in prima linea nell’alfabetizzazione della Russia, e l’amante e collaboratrice Inessa Armand.
Una mission non facile, la loro, sottolineata anche da D’Orsi nel suo volume, che, affrontando l’episodio della fucilazione di Mata Hari, sottolinea i rischi a cui si esponevano le donne “troppo” indipendenti e spregiudicate nella loro emancipazione.
Dalla Russia all’Italia, attraverso un fil rouge molto delicato che ha spostato l’attenzione sul nostro Paese. Ricordando l’attività di sostegno alla resistenza antifranchista di Rita Montagnana, moglie di Togliatti, e della partigiana Teresa Noce, attiva nelle Brigate Internazionali, durante il dibattito Segre ha anche preso in considerazione i rapporti che legheranno l’Italia, e in particolare Torino, alla Spagna. Gli operai torinesi inviavano parte dei loro stipendi già ristretti ai combattenti contro Franco: atto, questo, che rimarca quanto, anche in quei giorni, la forza degli ideali riuscisse a superare i confini nazionali e tenere vivo il fuoco rivoluzionario in seno alle dittature, dall’impero russo in crisi fino all’Italia fascista passando per la Spagna dilaniata dalla guerra civile.
Ulteriore testimonianza della compartecipazione fra nostra città e la Russia è l’ospitalità che alcune studentesse perseguitate dallo zarismo trovarono proprio a Torino, fra cui la fondatrice delle edizioni Slavia, che tradusse e diffuse per la prima volta in Italia la letteratura russa; o ancora come attraverso le buste inviate dal nostro Paese, ignorate dalla censura, trovò una nuova forma di diffusione la rivista clandestina Iskra.
Gli ultimi quarantacinque minuti dell’incontro hanno visto D’Orsi e Del Boca allargare il discorso ad un contesto più ampio, che ha inquadrato ulteriormente il peso degli eventi analizzati precedentemente. 1917 è infatti anche l’anno di Caporetto, e i fantasmi di quella disfatta, radicati tanto profondamente nella psicologia collettiva italiana, ispirano riflessioni sulla natura totale dei conflitti mondiali, sulle sanguinose innovazione ivi introdotte come l’uso dei gas, sulla controversa figura di Cadorna e sul “totale disinteresse per chi comanda rispetto alle popolazioni”: una distanza che può generare amare rassegnazioni (come quella dei soldati che scelgono l’automutilazione per fuggire dal futile orrore della guerra), ma anche fornire l’humus ideale per i moti sovversivi.
Un moto come quello che a Torino, il “più importante di tutti gli anni di guerra, ovviamente esclusa la Russia”, ha visto ancora una volta le donne a dare il via a una manifestazione spontanea dalle conseguenze drammatiche (a differenza dell’obiezione dei cosacchi si ebbero scontri e numerose vittime) e dal carattere indecifrabile per le istituzioni ormai obsolete.
Fra interventi appassionati, risate sui frequenti problemi tecnici (memorabile la rievocazione del congresso panrusso dei Soviet di Mosca e Pietrogrado rovinata quando dall’impianto audio sono partite le note dell’inno dell’URSS al posto dell’Internazionale) ed emozionanti rievocazioni, la carica rivoluzionaria delle idee e delle donne in particolare è stata onorata con il giusto spirito: vivo, dinamico e dissacrante.